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Magistratura Indipendente

CIVILE  

Anticipazione della “prova” e controversie riguardanti minori: in favore delle consulenze esperte psicologiche ante causam.

  Civile 
 martedì, 23 ottobre 2018

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Beatrice Ficcarelli, Professore associato di Diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena

 
 

 

1.           Posizione del problema: il ruolo della consulenza tecnica nelle controversie familiari e la sua relazione con il processo.

 

La consulenza tecnica e, precisamente, tecnico-psicologica, ha spesso un ruolo decisivo nella risoluzione delle controversie di famiglia, specie laddove vi siano coinvolti minori e si tratti di definire il regime del loro affidamento ed i tempi di permanenza con ciascuno dei genitori[1].

In questo ambito, il consulente è chiamato ad uno studio della personalità di tutti gli individui coinvolti nella crisi familiare, al fine di accertare i rapporti del minore con i genitori e altri parenti, valutare l'idoneità educativa dell'uno o dell'altro genitore, valutare il grado di adattamento alla realtà e l'integrazione socio-culturale degli esaminati, dare un senso al loro comportamento in relazione alla situazione[2].

  Normalmente, gli accertamenti tecnici sono molto approfonditi, -compatibilmente con i quesiti formulati dal giudice-, determinanti per suggerire un assetto tendenzialmente stabile della situazione familiare, soprattutto con riferimento all'affidamento dei figli di cui si suggerisce il miglior regime ed i tempi di permanenza degli stessi con l'uno e l'altro genitore.

  Sono questi i problemi al centro di ogni controversia familiare in presenza di figli minori, anche considerato che tali problematiche incidono sulla determinazione della necessità o meno di un assegno di mantenimento ai sensi dell'art. 337 ter c.p.c. al fine di realizzare il principio di proporzionalità. Ciò si determina, appunto, tra gli altri criteri stabiliti dalla legge di carattere economico (tenore di vita e risorse economiche dei genitori), anche in base alle attuali esigenze del figlio e dei suoi tempi di permanenza presso ciascun genitore.

  All'esito della consulenza tecnica psicologica di un procedimento separativo o di divorzio, l'esperto fornisce, in altre parole, informazioni sulla base delle quali è possibile stabilire il nuovo assetto dei membri di una famiglia all'esito di una separazione genitoriale anche, in ultima analisi, sotto il profilo economico.

  I provvedimenti resi nell’ambito di una controversia di carattere familiare hanno difatti generalmente contenuto composito, in cui a quelli condannatori di carattere economico si affiancano i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli, con correlati diritti di permanenza e visita.

  La consulenza tecnica risponde, così, ad una precisa esigenza istruttoria.

  Tale esigenza, può maturare fin dalle prime fasi del processo, laddove, il Presidente del Tribunale, al fine di assumere i provvedimenti provvisori ed urgenti di rito, senta la necessità di formarsi un primo convincimento circa i fatti di causa per adottare, pro tempore, le misure più opportune nell'interesse familiare.

  In questi procedimenti, qualora sia ritenuto necessario ed urgente procedere ad un approfondimento, la struttura complessa del procedimento, incentiva il giudice a non attendere la “fase istruttoria”, ma a procedere immediatamente a nominare un perito -in base ai poteri conferitigli dall'art. 337 octies[3]- affinchè disponga una C.T.U. psicologica già nella fase presidenziale (o comunque nelle prime battute del processo), in vista dell'adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti nell'interesse della prole; ciò anche tenuto conto dell'ampio margine di discrezionalità di cui dispone il giudice stesso nell'adottare detti provvedimenti, avvalendosi di tutti gli strumenti ritenuti utili per la formazione del proprio convincimento[4].

  Di qui l'importanza di un accertamento dei fatti strumentali alla adozione degli stessi.

  L'esigenza istruttoria può però sorgere in un momento ancora precedente, cioè quando il processo non sia iniziato o, se iniziato, la coppia genitoriale non sia ancora comparsa in udienza.

  Ciò è possibile in due casi: quando ancora nessun procedimento sia stato promosso oppure quando, dopo che ad esso si sia dato avvio, i tempi di comparizione della coppia genitoriale innanzi al Tribunale competente siano così distanti dal deposito del ricorso da creare gravissimo disagio alla gestione dei figli minorenni nei momenti di maggior conflitto genitoriale, con tutti i danni che da tale situazione possono conseguire.

  L'accertamento relativo all'idoneità genitoriale del padre o della madre in assenza di un processo e di un provvedimento è spesso messo in discussione a ragione o a torto dall'uno o all'altro genitore e solo un esperto può essere in grado di poterlo acclarare, sciogliendo subito i dubbi relativi alla capacità genitoriale e alla conseguente esercizio della responsabilità sui figli.

  All'esito della perizia, qualora i dubbi non trovino fondamento, è possibile addivenire ad una composizione congiunta del conflitto; a non instaurare un procedimento di carattere contenzioso, ma comporre in modo “negoziato” la vicenda familiare in presenza di figli minorenni.  

  La perizia può assolvere, insomma, ad una funzione deflattiva del contenzioso nel senso di definirlo consensualmente o congiuntamente sulla base dei risultati della stessa.

  Oppure può “limitarsi” a preparare il processo o facilitare e snellire lo svolgimento dello stesso che continuerà per la definizione degli assetti economici dipendenti (anche) da quelli di affidamento in base ai criteri stabiliti dall'art. 337 ter c.c.

  Una volta espletata, la consulenza ante causam potrà infine essere utilizzata nel successivo contenzioso giudiziale, che si rendesse inevitabile, fermo restando il potere discrezionale del giudice di disporla ex novo nel corso dello stesso[5].

  Certamente, il presupposto del nostro ragionare, fondato su un sempre più stretto dialogo tra diritto di famiglia e psicologia, è la convinzione della pesante incidenza probatoria delle conoscenze esperte sugli esiti della controversia, considerata di portata tale da far ritenere che le parti, una volta conosciuti gli esiti e il senso complessivo dell'indagine, dovrebbero ritenere superfluo il ricorso al processo contenzioso o scontati gli esiti di un eventuale processo che sarebbe prevedibilmente condizionato dalle informazioni-conoscenze esperte già acquisite[6].

Il collegamento tra anticipata acquisizione delle conoscenze esperte e soluzione anticipata della controversia sembra così trovare fondamento nella ormai diffusa percezione dell'incidenza delle consulenze tecniche sulla formazione del convincimento del giudice e, in definitiva, sull'esito della controversia[7].

 

 

2.                      La consulenza psicologica prima del processo. Il quadro normativo di riferimento. L’art. 696 c.p.c.

 

De jure condito, la possibilità di richiedere al Giudice la disposizione di una consulenza tecnica psicologica in vista di un procedimento di separazione o di divorzio, di modifiche delle condizioni assunte in detti procedimenti o, ancora, di un procedimento ex art.709 ter c.p.c.[8], appare possibile in base all’art. 696 c.p.c., qualora vi sia urgenza di provvedere[9].

Con riferimento a tale norma, come noto collocata tra i procedimenti di istruzione preventiva di cui alla Sezione IV, Libro IV, Titolo I del codice di procedura civile[10], chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, non solo lo stato di luoghi o cose ma anche di persone, può chiedere, ai sensi degli artt.692 ss. c.p.c., che sia disposto un accertamento tecnico o un'ispezione giudiziale.

  In tal caso, il Presidente del Tribunale provvede nelle forme stabilite dagli artt. 694 e 695 c.p.c. in quanto applicabili, nomina il consulente tecnico e fissa la data di inizio delle operazioni. Qualora l'indagine sia richiesta su persona diversa dall'istante è necessario il consenso di questi.

  Nell'ambito di una controversia in cui si controverta del miglior regime di affidamento (o della sua violazione), collocazione e permanenza dei figli minorenni con ciascun genitore, ed in cui l’urgenza è spesso in re ipsa nei frequenti casi in cui il conflitto tra genitori li renda incapaci di esercitare adeguatamente la propria responsabilità verso i figli stessi[11], pare pertanto possibile il ricorso a detta norma, la quale consentirebbe di espletare una consulenza psicologica familiare sui genitori di figli minorenni con la sola necessità, allo stato attuale, del consenso di entrambi.

Il problema nasce, piuttosto ed allora, nel caso in cui il soggetto, diverso dall’istante, cioé l'altro genitore, rifiuti di sottoporsi all’accertamento tecnico preventivo.

D’accordo con la miglior dottrina, la problematica è tuttavia mal posta e non convince (ed anzi l'interprete può rimanerne anche disorientato), giacchè dal punto di vista dell’urgenza non può esservi diversità tra l’ipotesi in cui il soggetto da esaminare sia l’istante o persona diversa dall’istante[12].

Il problema della coercibilità dell’accertamento su soggetto diverso dal richiedente riguarda, infatti, non solo l’accertamento tecnico preventivo, ma anche l’accertamento tecnico in corso di causa, vale a dire la C.T.U. di cui agli artt. 191 ss. c.p.c.

Il fatto che l’accertamento si possa fare anche contro la volontà di colui che ne é oggetto, costituisce un problema ulteriore e generale, ma il rifiuto di sottoporsi allo stesso non può avere conseguenze probatorie diverse a seconda che esso sia effettuato nel corso di un processo di merito oppure in via preventiva.

Come rilevato vivacemente dalla medesima dottrina, condizionare l’accertamento al preventivo consenso del soggetto da esaminare e al tempo stesso escludere ogni efficacia probatoria del rifiuto significa “mettere nelle mani dell’esaminando la facoltà di impedire la formazione della prova senza rischiare niente”[13].

Inoltre, la necessità di richiedere il consenso della controparte -e la mancata sanzione del rifiuto ingiustificato-, sembrano porsi in contrasto con il general trend di potenziamento delle misure di istruzione preventiva, finalizzato a raggiungere risultati deflattivi del carico giudiziario, offrendo alle parti la posibilità di valutare i possibili esiti del processo di merito[14].

  L’art. 696 c.p.c., con i necessari “correttivi”, sembra pertanto suscettibile, di sostenere l’esperibilità di una consulenza psicologica preventiva in materia familiare, considerata l’urgenza che caratterizza normalmente le situazioni prodromiche ai procedimenti separativi in presenza di figli minori.

Il Presidente del Tribunale, quale giudice competente per il merito, provvederà nelle forme stabilite dall'art.694 c.p.c., nominerà il consulente tecnico e fisserà la data di inizio delle operazioni ai sensi degli artt. 191 ss., vale a dire le norme in materia di C.T.U.

Per quanto riguarda i rapporti tra art. 696 c.p.c e giudizio di merito, è poi fatta salva la disposizione di cui all’art. 698 c.p.c., con la conseguenza che il Presidente del Tribunale o il giudice istruttore potrà dichiararla ammissibile con risparmio di tempo processuale o, solo eventualmente, rinnovarla.[15]

 

3. L’applicabilità dell’art. 696 bis c.p.c. Considerazioni preliminari sull'istituto.

 

  A prescindere dall’urgenza -e pertanto dal requisito su cui l’art. 696 c.p.c. fonda la sua ragion d’essere-, in tutti gli ordinamenti si è progressivamente assistito al fenomeno del potenziamento delle modalità di acquisizione delle prove anticipate rispetto alla compiuta fissazione dell'oggetto della lite.

I moderni sistemi processuali, infatti, in misura crescente, hanno esteso la propria attenzione alla fase che precede l’instaurazione del processo, consapevoli che il sapere assume funzione di guida dell’azione, e che la possibilità di acquisire conoscenza o “informazioni” intorno ad elementi di fatto in un momento pre-processuale può essere cruciale per saggiare le prospettive di una futura azione giudiziale, per valutare le chances di un eventuale ricorso al giudice, per ricercare o accettare una soluzione transattiva della lite o, più semplicemente, per preparare il processo[16].

In questo quadro, nel nostro sistema processuale, si colloca, come ben noto ed a seguito della riforma operata dalla legge 14 maggio 2005, n°80, l’art. 696-bis c.p.c., secondo cui, benché solo per una fattispecie limitata -accertamento dei crediti da inadempimento contrattuale o da fatto illecito-, è possibile domandare che sia disposta una consulenza tecnica prima dell’inizio della causa di merito, anche in assenza pertanto del periculum in mora cui la legge condiziona le operazioni peritali dell’art. 696 c.p.c. e, più in generale, ogni altra forma d’istruzione anticipata nel diritto processuale comune[17].

La norma, nella sua fondamentale ratio ispiratrice, tende ad agevolare la risoluzione della controversia in forme diverse dalla sentenza, avvenga questa per via d’una soluzione stricto sensu concordata mediante transazione, ovvero per via dell’unilaterale rinuncia a coltivare le proprie ragioni nella successiva causa di merito (quando ad esempio il consulente tecnico abbia concluso per l’inesistenza d’un danno o d’un inadempimento) o ancora dell’integrale e spontaneo riconoscimento del proprio obbligo (per lo più nell’ipotesi esattamente speculare).

La possibilità di una valutazione anticipata delle prospettive di “successo”, dovrebbe far presa sulla parte per la quale la prognosi è sfavorevole, palesando ad essa l’opportunità – sotto il profilo delle spese giudiziali, degli interessi di mora e delle responsabilità civili in genere – d’astenersi dall’agire o dal resistere; ed ancora, ove la prognosi sia invece di soccombenza parziale reciproca, dovrebbe suggerire ai litiganti – giusta una similare analisi costi-benefici – la convenienza d’una soluzione concordata pari o prossima, per contenuti, a quella indicata come probabile nel successivo giudizio[18].

L’obiettivo alla base della norma evoca analoghe riforme adottate in altri paesi europei continentali ed ha come punto di riferimento alcuni degli aspetti caratterizzanti del processo angloamericano. Il pensiero va immediatamente ai Pre-action protocols ed alla pre-action disclosure dell’esperienza inglese. La discovery americana, con cui parimenti un’analogia può essere prospettata sotto il profilo funzionale, entra in gioco infatti a processo già iniziato e con riferimento ad essa non è pertanto strettamente corretto parlare di “prova prima del processo[19].

  Nei principali modelli stranieri, che pur possono presentare tra loro sostanziali differenze, nel corso della loro evoluzione storica, è stata così superata la correlazione tra assunzione anticipata e rischio di perdita della prova.

  L’aumento del numero delle controversie civili e l’allungarsi dei tempi necessari per lo svolgimento del processo ordinario di cognizione hanno portato i legislatori di quei paesi ad individuare nei procedimenti di assunzione preventiva della prova strumenti di soluzione delle controversie che consentano di evitare, in relazione ad un certo numero di controversie stesse, il ricorso al processo ordinario o perlomeno a quello di carattere contenzioso.

  L’idea che accomuna tali istituti, è che spesso la definizione della lite dipende non dalla soluzione di questioni di diritto, ma dalla ricostruzione dei fatti, così che una volta sentito il testimone o esperita la consulenza tecnica, il futuro attore è in grado di valutare la (in)fondatezza totale o parziale della propria pretesa e rinunciare al processo e optare per una soluzione transattiva della lite[20].   

  Si tratta, a ben vedere, del medesimo assunto sotteso a molti metodi alternativi di risoluzione delle liti[21] oggetto anche nel nostro sistema, metodi che sempre più stanno diffondendosi, prendendo anche forma di obbligatorietà, come accade ad esempio oggi in tema di responsabilità medico-sanitaria[22].

L'art.696 bis c.p.c., fin dalla prima lettura ha riecheggiato pertanto quel fenomeno ampiamente diffuso nei sistemi di common law, ma anche di civil law, descrivibile come prova prima del processo che sostanzialmente si concreta in una anticipazione del momento di assunzione degli strumenti probatori.

La sua funzione, non a caso, da una parte è quella di condurre ad una soluzione concordata della lite; dall'altra, nel caso in cui ciò non accada, di contribuire all'istruttoria del futuro giudizio di merito.

A ben vedere e più specificamente il legislatore è arrivato a questo risultato all'esito di un ben definito processo evolutivo.

Intervenendo sull'art. 696 c.p.c., ha anzitutto inteso potenziare l'utilizzazione delle conoscenze esperte attraverso la riformulazione della norma preesistente in modo che al perito venissero affidate aree di indagine precedentemente escluse dall'ambito di operatività dell'istituto, vale a dire quelle sulla persona (sia dell'istante che della persona nei cui confronti l'istanza é proposta in tal caso però col consenso di questi).[23]

Inoltre, ha proceduto all'ampliamento dei poteri del consulente tecnico che si sono estesi alla verifica delle cause dei fenomeni rilevati e l'accertamento dei danni che siano conseguenza degli stessi. Vengono di conseguenza attualmente affidate all'esperto attività concernenti questioni e ambiti di indagine rilevanti per la risoluzione della controversia, come quelli relativi all'accertamento causale dei fenomeni rilevati o all'accertamento e alla quantificazione dei danni derivati dagli stessi[24].

  Con l'introduzione dell'art.696 bis c.p.c., infine, sono state conferite al perito funzioni ulteriori rispetto a quelle per così dire tradizionali, affinché all'esito della perizia/consulenza dal medesimo resa, le parti siano in grado di conoscere le possibilità di un esito del futuro giudizio che può essere peraltro “scongiurato” comportando un effetto deflattivo del contenzioso.

  Due pertanto le funzioni svolte dalla norma: una istruttoria e una deflattiva, e ciò evidentemente sulla percezione dell'importanza, se non indispensabilità, delle conoscenze esperte sulla formazione del convincimento del giudice e in definitiva sull'esito della controversia data l'incidenza della perizia sul provvedimento finale[25].

  Sebbene la consulenza tecnica non sia vincolante per il giudice data la sua qualità di peritus peritorum, molto difficilmente il giudice medesimo si avventura in soluzioni diverse rispetto a quelle suggerite dall'esperto[26].

  Se guardare al futuro implica ormai da lungo tempo la progressiva adozione di modelli scientifici nell'indagine dei fatti, il dialogo tra l'esperto ed il giudice si fa mano a mano sempre più serrato.

 

  segue: art. 696 bis c.p.c e controversie familiari riguardanti minori.

  L'idoneità dell’art. 696 bis c.p.c. a supportare una richiesta di consulenza tecnica psicologica relativa ad una controversia sull'affidamento di minori (nonché sui diritti del figlio e dei genitori che ne derivano), parrebbe “arrestarsi” innanzi al limitato ambito di applicazione della norma, rappresentato dalle fattispecie di illecito contrattuale ed extracontrattuale.

  Omettendosi l'ipotesi di responsabilità contrattuale che esula dall'ambito di applicazione della nostra indagine, pare possibile sostenere che l'apposizione di limiti o ostacoli all'esercizio della responsabilità genitoriale verso i figli minori -di cui agli artt. 315 bis e 316 c.c.- perpretati da uno dei genitori ai danni dell'altro e dei figli stessi, concreti un illecito extracontrattuale, così rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 696 bis c.p.c.

  Sulla scia della risarcibilità del cd. danno “endofamiliare” cagionato dalla violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio (di cui all'art.143 c.c.) e che configura illecito civile per dottrina e giurisprudenza ormai da lungo tempo consolidate[27], anche il rapporto tra genitori e figli o tra genitori per questioni riguardante la prole minorenne, è stato considerato suscettibile di configurare un illecito civile, dando vita a forme di danno risarcibile di carattere non patrimoniale.

Il riconoscimento del diritto all’assistenza morale spettante al minore anche durante la crisi del rapporto che lega i propri genitori, ha come essenza la relazione di affetto che deve instaurarsi tra genitori e figli[28].

Il minore è titolare di un diritto soggettivo, a contenuto non patrimoniale, alle relazioni affettive, poiché il rapporto affettivo stesso incide sulla sua crescita e sulla formazione della sua personalità. E l’esercizio di tale diritto si esplica anzitutto nei confronti dei genitori che sono i soggetti per loro natura preordinati ad assicurarne la tutela[29].

  Qualora infatti si verifichino gravi inadempienze o altri atti che comunque arrechino pregiudizio al minore medesimo od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, ai sensi dell'art.709 ter c.p.c., il giudice può, tra le altre sanzioni[30], disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore, ovvero disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro.

  Le ipotesi che più di frequente si verificano in questo contesto sono inerenti alla violazione del calendario predisposto per garantire il cd. diritto di visita dei genitori con i figli[31]; il disaccordo su decisioni inerenti la salute e l'struzione dei figli stessi; l'ostruzionismo circa le decisioni fondamentali per la vita della prole; episodi di violenza; il disinteresse morale e materiale da parte dei genitori; infine, la privazione del contatto con l'altro genitore.

Si tratta solo di alcune delle ipotesi al verificarsi delle quali il giudice deve accertare l'esistenza di un danno (e naturalmente gli oneri probatori da parte di chi chieda il risarcimento) ed eventualmente emanare un provvedimento di condanna.

 In virtù della giurisprudenza in materia di danno endofamiliare di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c., pertanto, laddove il danno ingiusto si concretizzi nella lesione di un diritto della personalità del membro della famiglia, specialmente dopo l'entrata in vigore dell'art.709 ter c.p.c. -che è solo una fattispecie speciale di responsabilità civile in quanto la pretesa riparatoria è specificamente riferita alla violazione dei doveri genitoriali come determinati da un provvedimento giudiziale[32]-, si è progressivamente assistito all'affermazione di un principio di responsabilità extracontrattuale dei genitori verso i figli ed a ciò si è addivenuti proprio sancendo la risarcibilità dei doveri di frequentazione e visita previsti in caso di separazione o di divorzio o, ancora, la risarcibilità del pregiudizio patito dal genitore (o dal nonno) che si sia visto ostacolato nel suo rapporto col figlio o col nipote a causa della condotta dell'altro genitore[33].

  Sotto questo profilo, se è vero che l'interesse dei figli minori assume una posizione prioritaria nel giudizio e che le pretese risarcitorie, per poter essere esaminate, debbono sempre fondarsi sulla violazione di doveri genitoriali, é altrettanto vero che più in generale l'art.709 ter c.p.c. é diretto al rispetto delle condizioni di affidamento e dunque alla protezione di tutti i diritti soggettivi coinvolti, vuoi che appartengano ai figli, vuoi che spettino ai genitori[34].

  In ogni caso, anche a prescindere dall'art.709 ter c.p.c., -il cui ambito di applicazione, lo si ripete, é limitato, anche se l'istanza é proposta in via autonoma, alla violazione delle condizioni di affidamento e solo davanti al giudice chiamato a conoscere tale violazione anche ai fini di ridefinire le regole o il regime di affidamento stesso-, é sempre e comunque fatta salva la responsabilità generale di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. che autorizza in ogni caso la richiesta di risarcimento del danno derivante dalla violazione dei doveri genitoriali, senza vincoli di tipo oggettivo.

  Ciò é confermato anche dal fatto che, nel caso di giudizio ex art.709 ter c.p.c., (incidentale o autonomo) che si chiuda senza alcuna pronuncia sul risarcimento, il relativo diritto può farsi valere separatamente in via ordinaria sulla base dei medesimi artt. 2043 e 2059 c.c.

  Ne discende che, in questo secondo caso, la cognizione del giudice può estendersi alle conseguenze pregiudizievoli derivanti da condotte più ampie e più estese nel tempo, ovvero anche relative a fatti avvenuti prima della regolamentazione giudiziale dell'affidamento cioé prima e a prescindere dal processo.

  Affermata la correttezza di tale premessa sotto il profilo del diritto sostanziale, pare pertanto possibile sostenere l'esistenza (quantomeno) di un danno non patrimoniale, nel caso del genitore che, anche prima dell’adozione di provvedimenti giudiziali, vale a dire prima del processo, impedisca all’altro di vedere il proprio figlio o ponga in essere altre condotte pregiudizievoli del suo rapporto con il minore, dando vita ad un illecito extracontrattuale; con ciò consentendosi il ricorso all’art. 696 bis c.p.c. che, sia pur nella sua ristretta apparente formulazione, pare suscettibile di offrire legittimazione normativa ad una prova prima del processo sub specie di perizia psicologica.

  Una volta ritenuta ammissibile l’applicazione di tale norma, sarebbe poi certamente anche applicabile, sotto il profilo strettamente procedimentale, la disciplina già prevista in tema di accertamento tecnico preventivo, in assenza peraltro di disposizioni ostative sotto il profilo dei limiti di applicazione e dei presupposti, giacché, ai sensi del sesto comma dell'art. 696 bis c.p.c., allo stesso si applicano gli artt. da 191 a 197 c.p.c. in quanto compatibili, vale a dire le norme relative alla C.T.U endoprocessuale.

  In tal modo, grazie alla estensione delle norme sulla C.T.U, parrebbe anche essere stato superato il problema della eventuale mancanza del consenso a sottoporsi a perizia da parte di uno dei genitori, che la C.T.U endoprocessuale medesima non richiede; un problema invece ancora attuale in materia di accertamento tecnico preventivo urgente[35].

  Data la funzione deflattiva della norma, inoltre, le risultanze delle perizia possono indurre le parti a trovare un accordo così evitando giudizi contenziosi.

 

3.                      Osservazioni conclusive.

  Nell’ambito delle controversie cd. familiari coinvolgenti minori, l’adozione di modelli scientifici nell’indagine dei fatti è considerata pressoché indispensabile.

  L’importanza del senso umano nella ricerca del fatto stesso si riduce, amplificandosi la necessità di ricorrere ad esperti.

  Sebbene la consulenza tecnica non sia vincolante per il giudice, molto difficilmente il giudice, in questioni che riguardano l’esercizio della responsabilità genitoriale, si avventura in soluzioni diverse rispetto a quelle suggerite dall’esperto, rendendo sempre più stretto il rapporto tra diritto di famiglia e psicologia.

  Non solo.

  Alla luce della crescente sensibilità acquisita anche nel nostro sistema processuale nei confronti dei fenomeni noti come di “prova prima del processo” o dell’assunzione di dati o informazioni non necessariamente considerati strumentali rispetto all’instaurazione di un giudizio di merito di carattere contenzioso (con inevitabile effetto deflattivo dello stesso), è possibile immaginare nel futuro un sempre maggior ricorso allo strumento della consulenza psicologica per definire, anticipatamente rispetto al processo, situazioni il cui accertamento in ambito giudiziale richiederebbe molto tempo o comunque il tempo fisiologico per l’instaurazione e lo svolgimento di un processo di cognizione (peraltro di carattere bifasico nei procedimenti di separazione e di divorzio).

Forme di consulenza tecnica psicologica preventiva potrebbero in molti casi evitare un giudizio contenzioso giacchè le parti, tramite la stessa, vengono preventivamente edotte delle risultanze del mezzo di accertamento, di cui sicuramente il giudice si avvarrà, data la delicatezza dei diritti e degli interessi coinvolti.

A sostegno di tale previsione, supportata da un quadro normativo che, anche de jure condito, pare sostenerla, sono alcuni lavori i quali, sul tema, muovono nella direzione ora prospettata, favorevoli all'inserimento nel codice di procedura civile di una specifica disposizione dedicata alla consulenza tecnica prima del giudizio”, volta a darne legittimazione normativa autonoma a livello generale (anche a prescindere dallo stretto ambito delle controversie familiari in cui il fenomeno è innegabilmente di particolare evidenza)[36].

In questa ottica, tuttavia, per una corretta funzionalità ed efficienza dell'istituto, sarebbe opportuno che si estendessero alla consulenza stragiudiziale le stesse garanzie della c.t.u. endoprocessuale di cui all'art.194 c.p.c. in tema di formulazione dei quesiti, osservazioni, nomina dei consulenti di parte, rispetto del principio del contraddittorio[37], e in particolare, riconoscersi, de jure condendo, alla perizia, natura di mezzo di prova tipico e non già di strumento di istruzione in senso lato o strumento ausiliario di integrazione delle conoscenze del giudice[38].

La “consulenza stragiudiziale” potrebbe essere peraltro l'occasione per il legislatore, sulla scia delle innovazioni appartate dalla cd. legge Gelli n°24 del 8 marzo 2017 in materia di responsabilità medico-sanitaria[39] la quale ha innalzato gli standards di qualificazione professionale degli esperti esercenti le professioni sanitarie chiamati a prestare la loro opera nel processo ai sensi dell'art.696 bis c.p.c. (assunto, in alternativa alla mediazione, a condizione di procedibilità), di porre regole generali più rigorose sulle modalità di selezione e la professionalità dei consulenti tecnici, oltre alla valorizzazione del ruolo dei consulenti di parte nell'ottica di un sostanziale potenziamento del contraddittorio, la cui violazione, nell'ambito del processo di C.T.U., continua purtroppo, a rappresentare la problematica più grave e, al contempo, ricorrente.

 

 

 



[1]  Il riferimento é ai procedimenti ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 337 bis c.c., a quelli di modifica delle condizioni di separazione o divorzio ed anche ai procedimenti intentati ai sensi dell'art. 709 ter c.p.c. Difatti 'istanza ex art.709 ter c.p.c. viene proposta per risolvere difficoltà attuative attinenti a determinazioni presenti in sentenze, anche non passate in giudicato, o altri provvedimenti, quali ordinanze o decreti, eventualmente pronunciati in via provvisoria. Come rileva la più recente dottrina, la questione, pur non chiaramente disciplinata dalla norma, può essere implicitamente ricavata dal comma 1 della disposizione medesima. L'art.709 ter c.p.c. individua non a caso quale giudice competente a decidere le controversie insorte “il giudice del procedimento in corso”. Ma immediatamente dopo prosegue disponendo che “per i procedimenti di cui all'art.710 é competente il tribunale del luogo di residenza del minore”. Si ritiene dunque comunemente che sussistano due diversi moduli procedimentali, ovvero un procedimento incidentale, diretto a risolvere le controversie insorte durante la pendenza del giudizio sulla crisi familiare e relative a provvedimenti provvisori o comunque non passati in giudicato, ed ad un procedimento autonomo, dedicato alle problematiche emerse con riguardo a provvedimenti ormai divenuti deefinitivi. Così R. Donzelli, I provvedimenti nell'interesse dei figli minori ex art.709 ter c.p.c., Torino, 2018, 7-8 cui si rinvia anche per la variegata casistica relativa alle violazioni che consentono il ricorso alla relativa tutela.

 Sulla natura e funzione del consulente tecnico -di cui agli artt. 191 ss. c.p.c.- prima e dopo la riforma intervenuta per effetto della l. 18 giugno 2009, n°69, v. le opere ed i testi base di CALAMANDREI, Istituzioni di dir. proc. civ., II, Padova, 1943, n. 102, 167; V. ANDRIOLI, Commento al c.p.c., I, Napoli, 1954, 187; L. FRANCHI, La perizia civile, Padova. 1959; N. GIUDICEANDREA, Consulente tecnico, in Enc, dir., IX, Milano 1961, 531 ss., C. DONES, Struttura e funzioni della consulenza tecnica, Milano 1962; L. FRANCHI, Consulente tecnico, custode ed altri ausiliari del giudice, in Commentario al c.p.c., diretto da E. Allorio, I, Torino, 1973, 682 ss.; G. NICOTINA, Note minime in tema di consulenza tecnica, in Studi in onore di Satta, Padova, 1982, 1059 ss.; C.M. BARONE, voce Consulente Tecnico, in Enc. Giur. VIII Roma, 1988; F. MAGLI, Omissione di consulenza tecnica ed insufficienza della motivazione, in Riv. Dir. Proc., 1988, 275; M. VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., III, Torino 1988, 525 ss.; E. PROTETTI, La consulenza tecnica nel processo civile, MILANO, 1999; F. AULETTA, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002; L.G. LOMBARDO, Prova scientifica e osservanza del contraddittorio nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1017; L.P. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2004, 639 ss..; M. CONTE, La consulenza tecnica, Milano, 2004; A. DONDI, Utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo civile – Alcune ipotesi di carattere generale, in Studi di diritto processuale – In onore di Giuseppe Tarzia, Milano, 2005, I, 843 ss.; V. ANSANELLI, La consulenza tecnica nel processo civile, Problemi e funzionalità, Milano, 2011; Id., Commento agli artt. 191-199 c.p.c., in Commentario del Codice di Procedura civile, a cura di Sergio Chiarloni, Libro secondo: Processo di cognizione art.191-266, a cura di Michele Taruffo, Istruzione probatoria, Bologna, 2014.

[2] La consulenza tecnica psicologica è inoltre necessaria per l'accertamento di eventuali tratti psicopatologici nei soggetti presi in considerazione non al fine di stabilire una condizione di anormalità o di normalità ma per comprendere come questi condizionano i rapporti ed i comportamenti dei soggetti. V. P.F. PIERI, Segni sull’esercizio della genitorialità. Note su potestà, autorevolezza e responsabilità, in Archivi di psicologia giuridica, a cura di Istituto di psicologia forense, 2015, 41 ss.

[3] Secondo tale norma prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'art. 337 ter c.c., il giudice può assumere anche d'ufficio mezzi di prova.

[4]  E ciò è anche funzionale alla considerevole durata, in termini di efficacia, dei provvedimenti presidenziali o interinali, che sono tendenzialmente stabili, salvo il reclamo e le rare ipotesi di modifica o revoca sussistendone i presupposti, fino alla sentenza che definisce il giudizio.

[5] Vedi specificamente infra par. 2.

[6]  Si tratta di quel trend evolutivo ed estensivo che conferma l'inadeguatezza della concezione meramente valutativa della consulenza tecnica ordinaria tanto che norme quali l'art.696 bis c.p.c. possono essere interpretate come una riprova dell'ormai definitivamente acquisita natura probatoria della C.T.U. V. sul punto le riflessioni di Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Problemi e funzionalità, cit., 47 ss.

[7] Così ancora Ansanelli, op. ult. cit., p. 47.

[8] V. supra nota 1.

[9]  Ovviamente, ai sensi dell’art. 698 c.p.c. l’assunzione preventiva della consulenza tecnica non pregiudica le questioni relative alla sua ammissibilità e rilevanza né impedisce la rinnovazione della stessa nel giudice di merito, ma certamente quest’ultimo potrà far riferimento alla stessa quantomeno per l’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti.

 

[10]  Tra i contributi specificamente dedicati all'istituto v. DENTI, Sui procedimenti di istruzione preventiva, in Giur.it., 1949, I, 2, 47 ss.; CALVOSA, Alcune questioni in tema di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc., 1951, II, 197 ss.; TOMEI, La interruzione della prescrizione come effetto dei provvedimenti di istruzione preventiva, in Giur. compl. Cass. civ. 1951, II, 391; CALVOSA, Ancora in tema di istruzione preventiva, in Giur.it., 1953, I, 2, 649 SS.; CARNELUTTI, Limiti della consulenza nel procedimento di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc.,

 1954, 198 ss.; MONTESANO, Sulla speciale responsabilità per imprudente esecuzione in materia di istruzione preventiva, in Giur.it., 1956, I, 1, 1037; VALCAVI, E’ ammissibile un confronto di testimoni in sede di istruzione preventiva?, in Giur.it, 1958, I, 2, 603; CARNELUTTI, Confronto tra testimoni in sede di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc., 1959, 660 ss.; BRUNETTI, Sui procedimenti di istruzione preventiva, Milano, 1960; CALVOSA, Istruzione preventiva, in Nov. Dig. it., IX, Torino, 1963, 309 ss.; FRANCHI, Efficacia in Italia dell’istruzione preventiva compiuta all’estero, in Riv. dir. proc., 1965, 587 ss.; TARZIA, Sulla strumentalità dell’accertamento tecnico preventivo, in Giur.it., 1967, I, 2, 819 ss.; Id., Ammissibilità dell’istruzione preventiva nei confronti della pubblica amministrazione, in Riv. dir. proc., 1969, 637 ss.; ANDRIOLI, Sulle spese dell’istruzione preventiva, in Foro it., 1971, I, 272 ss.; LAUDISA, Competenza istruzione preventiva, giurisdizione e regolamento, in Giur.it., 1972, I, 1, 1973 ss.; NICOTINA, Istruzione preventiva, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 154 ss.; BERRI, Limiti di ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione nei procedimenti di istruzione preventiva, in Giur.it., 1979, I, 1, 721 ss.; CONSOLO, Periculum in mora ed inammissibilità della domanda principale nella istruzione preventiva, in Giur. it. 1979, I, 2, 535 ss.; NICOTINA, L’istruzione preventiva nel codice di procedura civile, Milano, 1979; BALENA, Istruzione (procedimento di istruzione preventiva), in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990; MAGI-CARLETTI, I procedimenti di istruzione preventiva, in I procedimenti cautelari, a cura di Tarzia, Padova, 1990, 113 ss.; BASILICO, Accertamenti tecnici e ispezioni giudiziale sulla persona, in Giur.it, 1991, I, 1, 621 ss.; MONTESANO, Opportunità di istruzione preventiva nella giurisdizione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1991, 5 ss.; TARZIA, Istruzione preventiva e arbitrato rituale, in Riv. arb., 1991, 719 ss.; JACCHIERI, Provvedimenti di istruzione preventiva e regolamento di competenza, in Giust. civ., 1992, I, 947; MAGI-CARLETTI, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Il nuovo processo cautelare, a cura di Tarzia, Padova, 1993, 125 ss.; SALVANESCHI, Sui rapporti tra istruzione preventiva e procedimento arbitrale, in Riv. arb., 1993, 617 ss.; TRISORIO LIUZZI, Istruzione preventiva, in Dig. disc. priv., sez. civ., X, Torino, 1993, 242 ss.; CIPRIANI, L’impugnazione del provvedimento d’istruzione preventiva, in Foro it., 1996, I, 2766 ss.; MONTESANO, Sul reclamo contro il rifiuto di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc. 1998, 102 s.; SALVANESCHI, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc., 1998, 809 ss.; CIPRIANI, Ancora sull’impugnazione dei provvedimenti d’istruzione preventiva, in Foto it., 1999, I, 952 ss.; MONTESTANO, Danno irreparabile e reclamo nell’istruzione preventiva, in Riv. dir.proc., 2000, 103 s.; ROMANO A.A., La tutela cautelare della prova, Napoli, 2004; BALENA G., L’istruzione preventiva, in BOVE M.-BALENA G., (a cura di ), Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006; MAGI-CARLETTI, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Tarzia-Saletti, (a cura di), Il processo cautelare, Padova, 2008; RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015.

 

[11] Si pensi al caso in cui, in assenza di un provvedimento giudiziale, i figli manifestino problematiche di carattere psicologico che i genitori non siano in grado di risolvere dato il conflitto tra gli stessi esistente; non vengano condotti a scuola perché si debba si debba provvedere alla scelta dell'istituto scolastico e non si trovi l'accordo e via di seguito; per non parlare delle ipotesi di sospetto maltrattamento o abuso. La situazione di urgenza, rappresentanto il presupposto dell'art.696 c.p.c. dovrà essere adeguatamente motivata in sede di ricorso introduttivo.

[12] V., ad esempio, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali IX ed., Milano 2017, 273; A. Panzarola, L'istruzione preventiva riformata, in Il giusto processo civile, 2006, 107 ss. il quale rimarca il disorientamento che ne deriva e V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, cit., 56 ss.

[13]  Così testualmente F.P. Luiso, op. ult. cit., 273, il quale sottolinea la carenza dell’ordinamento proprio in ordine all’assenza di valore probatorio della negazione del consenso. Tale rimarchevole lacuna richiama inevitabilmente le disposizioni in tema di prova del rapporto di filiazione e specialmente l’art. 243 bis c.c. in tema di disconoscimento di paternità che consiste essenzialmente nella comparazione genetica tra i soggetti interessati. Come noto, la giurisprudenza in merito afferma che dette prove non sono strumenti eccezionali, bensì prove ordinarie della mancanza del rapporto di filiazione, sicchè il giudice è tenuto ad ammetterle, salvi ovviamente i casi in cui gli elementi raccolti siano già bastevoli a dimostrare, con sufficiente grado di certezza, la mancanza del rapporto di paternità. Purtuttavia, non sempre all’ammissione di tali mezzi di prova segue il loro espletamento, giacchè le stesse per loro natura, postulano ovviamente la collaborazione del soggetto interessato, che volontariamente deve sottoporsi ad attività invasiva della propria integrità fisica o consentire al prelievo dei propri reperti biologici, che non possono certamente essere presi coattivamente. La giurisprudenza allora é giunta ad affermare che anche dal sistematico rifiuto di dare ingresso a tali prove, il giudice può ritrarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., sufficienti, anche di per sé soli, a fondare il proprio convincimento. Vedi in materia l'efficace sintesi di A. ARCERI, Le azioni in materia di stato, in Diritto processuale di famiglia a cura di A. GRAZIOSI, Torino, 2016, 300 ss.

[14] Così Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, cit., 57.

[15]  In un procedimento di separazione o divorzio ciò accadrà nel caso in cui sia trascorso un consistente periodo di tempo tra l’espletamento della C.T.U e l’instaurazione del giudizio tale da aver modificato le condizioni su cui la prima si era fondata (ad esempio le mutate esigenze dei figli in base all’età, il trasferimento di uno dei genitori in altra località, e gli esempi possono essere molti).

[16]  Sul fenomeno in generale v. il lavoro di C. BESSO, La prova prima del processo, Torino, 2004. Ci si permette di rinviare anche al nostro Fase preparatoria del processo e case management giudiziale, Napoli, 2011, 201 ss.

[17]  Sull'art.696 bis c.p.c. v. A.A. Romano, Il nuovo art.696-bis c.p.c., tra mediation e anticipazione della prova, in Corriere giur., 2006, p. 405. Vasta è la letteratura sull’istituto anche considerata la sua ibrida natura. V. G. Arieta, Le tutele sommarie. Il rito cautelare uniforme. I procedimenti possessori, in Trattato di diritto processuale, III, 1, Padova 2005, p. 549 s.; C. Asprella, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Codice di procedura civile. Commenti al nuovo rito riformato, a cura di N. Picardi, Milano, 2005, p. 96 ss.; C. Besso, I procedimenti di istruzione preventiva, in I procedimenti sommari e speciali. I procedimenti cautelari, II, 2, a cura di S. Chiarloni e C. Consolo, Torino, 2005, p. 1176 ss.; R. Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, in Foro it., 2005, V, col. 139; L.P. Comoglio-C.Ferri-M.Taruffo, Lezioni sul processo civile, II, Bologna, 2005, p. 82; M.F. Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, p. 822 ss.; N. Giallongo, Le modifiche al codice di procedura civile. Contributi per una riflessione, in www.judicium.it , 17 ss.; G.N. Nardo, La nuova funzione conciliativa dell’accertamento tecnico preventivo alla luce della recente legge n. 80/2005, ivi, 1 ss.; va nel processo civile, Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu – F. Messineo – L. Mengoni, Milano, 2012, 1070 ss. F. Cuomo-Ulloa, Consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite, in Digesto civ., Agg., III, Torino, 2007, 273 ss. A. Tedoldi, La consulenza tecnica preventiva ex art.696 bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, p. 805 ss.; A.A. Romano, Sub art.696 bis, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo – F.P. Luiso, Milano, 2007; A. Panzarola, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in A. Briguglio – B. Capponi (a cura di), in Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, vol. I, 253 ss.; C. Besso, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Le recenti riforme del processo civile diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, 1323 ss; V. ANSANELLI, La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in M. Taruffo (a cura di), La prova nel processo civile, Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu – F. Messineo – L. Mengoni (continuato da P. Schlesinger), Milano, 2012, 1070 ss.

 Prima dell’approvazione della norma in esame, per riferimenti e rilievi intorno ai progetti di riforma ed ai disegni di legge che hanno variamente precorso la formulazione attuale dell’art. 696-bis c.p.c., ved. G.N. Nardo, Contributo allo studio della istruzione preventiva, Napoli, 2005, spec. p. 401 ss.; C. Besso, La prova prima del processo, cit., spec. p. 162 ss.; A.A. Romano, La tutela cautelare della prova nel processo civile, Napoli, 2004, p. 27.

[18]  Così Romano, Il nuovo art. 696 bis c.p.c., cit., p. 407.

[19] Occorre ricordare che nel processo angloamericano la fase preparatoria non assolve soltanto alla funzione di chiarire i termini in fatto e in diritto della controversia, ma anche, grazie allo scambio di informazioni rilevanti per la lite, di consentire lo svolgimento di trattative per la conciliazione della causa. Su natura e funzioni della pre-trial discovery statunitense v. il nostro Esibizione di documenti e discovery, cit., p.119 ss.

 La figura di cui all'art. 696 bis c.p.c. presenta anzitutto profili comuni con i casi di selbständiges Beweisverfahren previsti dall’ordinamento tedesco al secondo comma del § 485 ZPO, essi pure frutto di una non remota evoluzione normativa dell’istruzione anticipata. Anche in Germania infatti, fino a tutto il 1990, l’assunzione dei mezzi di prova prima del processo era essenzialmente subordinata al requisito dell’urgenza: la legge tedesca ammetteva già ab origine ed ammette tuttora, è vero, altresì l’istruzione preventiva non urgente, purché vi sia accordo di tutti gli interessati nel richiederla, ma ad essa si è sempre guardato come ad un’eccezione, denunciandone peraltro, a più riprese, l’assai scarsa frequentazione da parte dei pratici; in ogni caso non era chiaro se le parti potessero giudizialmente conciliarsi nel procedimento speciale e se il relativo Vergleich fosse poi coercibile. La situazione è invece mutata con il Rechtspflege-Vereinfachungsgesetz del 17 dicembre 1990, poiché è divenuto possibile domandare l’istruzione preventiva – sebbene, com’è ora anche da noi, soltanto per consulente tecnico e con talune restrizioni in ordine al thema probandum – in ogni caso in cui ciò corrisponda all’interesse dell’istante, anche se non ricorra un rischio di dispersione del mezzo di prova. Il § 485 II ZPO, nel nuovo testo, prevede poi che siffatto interesse sussiste quando l’anticipazione della prova «può servire ad evitare il processo», mentre i §§ 492 III e 794 I 1 ZPO promettono efficacia di titolo esecutivo all’eventuale Protokoll di conciliazione formato dinanzi al giudice. Per questa ricostruzione in termini comparatistici con l’ordinamento tedesco v. A.A. Romano, Il nuovo art.696-bis c.p.c., tra mediation e anticipazione della prova, cit., pp. 405 - 406.

 Per quanto riguarda invece l’ordinamento francese, l’art. 696 bis ha non trascurabili analogie con le mesures d’instruction in futurum (per alcuni principali riferimenti I. Després, Les mesures d’instruction in futurum, Parigi, 2004; L. Cadiet, Droit judiciaire privé, Parigi, 2000, p. 514 ss.; P. Estoup, La pratique des procédures rapides, Parigi, 1990, 78 ss.; C. Silvestri, Il référé nell’esperienza giuridica francese, Torino, 2005, p. 219 ss.; Besso, La prova prima del processo, cit., p. 85 ss.; A. Romano, La tutela cautelare, cit., p. 35 ss e, ci sia consentito, il nostro Esibizione di documenti e discovery, Torino, 2004, pp. 64-67 ove si prospetta un accostamento tra la misura di cui all’art.145 del Codice di procedura civile francese e l’istituto angloamericano della pre-trial discovery) di cui all’art.145 del Code de procédure civil francese in base al quale, in presenza di un motivo legittimo per conservare o stabilire prima del processo la prova dei fatti dai quali potrebbe dipendere la soluzione di una controversia, possono essere ordinati, su istanza di coloro che sono interessati, per requête o référé, i mezzi di prova ammessi dalla legge). Il motif légitime è una clausola generale rispetto alla quale l’urgenza non costituisce che una, e neppur la più importante, delle possibili manifestazioni concrete. Come ha tenuto a specificare la corte di Cassazione francese (v. Cass. 7 maggio 1982, in Bulletin des ârrets des Chambres civiles de la Cour de Cassation, Chambre mixte, 1982, n°3), infatti, l’istruzione preventiva può essere ordinata senza che si debba accertare la sussistenza del periculum in mora (come del resto di evince dalla stessa lettera dell’art. 145 che parla, oltre che di conservare, di “stabilire” la prova) e anche quando vi sia una contestation sèrieuse circa l’ammissiblità o la fondatezza della domanda di merito. Le uniche condizioni richieste per la concessione della misura d’istruzione preventiva sono pertanto quelle che risultano dal testo dell’art. 145 in cui si parla di conservazione o fissazione della prova avant tout procés: occorre pertanto che non sia iniziato il processo di merito. 

 

[20]  V. Besso, La prova prima del processo, cit., pp. 14 -15.

[21]  Annovera l’istituto a pieno titolo tra i metodi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR), Tedoldi, La consulenza tecnica preventiva ex art.696 bis c.p.c., cit., p. 805 ss.

[22]  Su cui v. oggi G. TRISORIO LIUZZI, La riforma della responsabilità professionale sanitaria. I profili processuali, in Il giusto processo civile, 2017, 655 ss; V. ANSANELLI, Struttura e funzione della consulenza tecnica preventiva in materia medico-sanitaria, in Il giusto processo civile, 2018, 165 ss.; R. TISCINI, La consulenza tecnica preventiva quale condizione di procedibilità nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria ai sensi dell'art.8 L.8 marzo 2017, n°24, in www.judicium.it.

[23]  V. le modifiche di cui al D.L. 14 marzo 2005, n°35 convertito nella L. 14 maggio 2005, n°80. La disposizione all'esito della novella del 2006 trae origine da due sentenze della Corte costituzionale. Con una prima sentenza Corte cost. 1990/471) la Corte dichiarò incostituzionale il previgente art. 696 c.p.c. nella parte in cui non consentiva l'accertamento tecnico o l'ispezione sulla persona dell'istante, con riferimento quindi all'ipotesi in cui l'accertamento tecnico era richiesto dall'istante su se stesso. Con una seconda sentenza (Corte cost. 257/1996) la Corte ha dichiarato incostituzionale la stessa norma nella parte in cui non consentiva l'accertamento tecnico o l'ispezione su persona diversa dall'istante, subordinando però l'esperimento del mezzo di prova al preventivo consenso dell'esaminando.

[24] Così V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Problemi e funzionalità, Milano, 2011, p.57.

[25]  “L’istituto svolge la funzione di condurre ad una soluzione concordata della lite e, quando questa non accada, fornire comunque un contributo all’istruttoria del successivo giudizio di merito”. Così I. Pagni, in GELLI, HAZAN, ZORZIT (a cura di), Dal tentativo obbligatorio di conciliazione al ricorso ex art. 702 bis c.p.c., La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n°24 (cd. Legge Gelli), Milano, 2017, 464.

[26]  L'art. 696 bis c.p.c. non chiarisce le modalità di ingresso della relazione tecnica nel processo di merito, stabilendo soltanto che ciascuna delle parti può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio, un giudizio peraltro non necessario, non essendovi l'onere di iniziarlo entro un termine prefissato a pena di inefficacia della consulenza effettuata. L'acquisizione al processo di merito non è automatica bensì subordinata ad una valutazione di ammissibilità compiuta dal giudice. L'istanza di acquisizione -restando escluso che il giudice possa disporla d'ufficio- deve essere formulata nei termini previsti per le deduzioni istruttorie, a pena di decadenza. Il giudice del merito è libero di valutare la rilevanza della perizia eseguita in fase preventiva anche sulla base delle deduzioni istruttorie e dei documenti prodotti dalle parti ed essa ha la stessa efficacia probatoria della ctu disposta nel corso del processo ordinario.

[27] La posizione della giurisprudenza é chiaramente riassunta nella sentenza della Corte di cassazione n°18853 del 15 settembre 2011, in Foro it., 2012, I, c. 2038 con nota di De Marzo. La Corte ribadisce la natura non solo morale ma giuridica dei doveri di cui all'art.143 c.c e la valenza di diritti soggettivi delle posizioni correlate a quei doveri, sottolinea che queste posizioni, per tale loro valenza, devono godere di tutela piena, non limitata, cioè, alle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comprendiva anche della misura generale del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c., afferma, da un lato, che non vi è automatica consequenzialità tra pronuncia di addebito e pronuncia di condanna al risarcimento del danno, dall'altro, che la mancanza di addebito non é preclusiva dell'azione risarcitoria. V. la ricostruzione di A. Mondini, Il risarcimento del danno derivante dalla violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, in Trattato operativo della crisi familiare, Tomo I, Profili di diritto sostanziale, a cura di M.A. Lupoi, Maggioli, 2018, 78 ss.

 Tale risultato è stato ottenuto, come noto, grazie al susseguirsi delle riforme legislative, -tra cui, l’ultima, quella della filiazione del 2013, che hanno consentito di ribaltare l’ottica tradizionale in cui il singolo membro viene visto all’interno del nucleo familiare. Si è infatti passati da una concezione per cui i diritti del singolo dovevano soccombere rispetto al superiore interesse della famiglia, ad una concezione di quest’ultima come il luogo di valorizzazione della personalità e dello sviluppo di singoli membri. Se in passato appariva “ardito” l'accostamento dei termini famiglia e responsabilità civile, giacché il costume sociale portava a ritenere sussistente, in questo luogo privilegiato degli affetti, una sorta di immunità rispetto agli strumenti propri della responsabilità civile, finalizzata ad evitare le tensioni che si sarebbero potute verificare consentendo l'ingresso ad uno strumento conflittuale, potenziale moltiplicatore di dissidi, l'evoluzione del diritto di famiglia e, soprattutto il mutamento del costume sociale, hanno giocato un ruolo di primaria importanza di fatto esistenti per il superamento della situazione di “immunità e di privilegio”. Per il percorso evolutivo che a partire dalla promulgazione della Costituzione ha condotto a tale risultato v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, II, 2006, 919 ss . Id., Sulla famiglia come formazione sociale, in Rapporti personali nella famiglia, Napoli, 1982, 39.

[28] Partendo dall'art. 315 bis c.c., -che amplia l'elenco dei diritti spettanti ai figli verso i genitori, andando ben oltre il riferimento ai soli diritti di mantenimento, educazione ed istruzione già previsti dall'art. 30 Cost.-, é stata ipotizzata la configurabilità in capo al figlio minore, di un diritto all'amore nell'ambiente familiare che tocca il tema complesso della rilevanza giuridica dei sentimenti. In vantaggio del figlio è stata riconosciuta l'esistenza di un vero e proprio diritto all'amore nell'ambiente familiare, individuato nel diritto all'assistenza morale garantito dall'art. 315 bis c.c., 1 comma. V. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2014, 335, secondo cui il diritto all’amore dei genitori è un diritto fondamentale del minore. Ad ogni modo, a tutt'oggi, non può porsi in dubbio che i figli minori siano titolari di diritti perfetti di primario rilievo costituzionale nei confronti dei genitori. Con la precisazione che occorre tuttavia prendere atto che si tratta di diritti soggettivi con determinati aspetti caratteristici specifici. Intanto l'interesse sostanziale sotteso a tali diritti non è di esclusiva pertinenza del figlio, poiché l'ordinamento lo assume come proprio sino a quando il figlio stesso raggiunge la maggiore età. Inoltre il contenuto di tali diritti e correlativamente dei doveri dei genitori è assai lato come emerge dagli artt. 147, 315 bis, 316, 337 ter comma 2, c.c. L'adempimento dei doveri genitoriali postula dunque un'attività complessa, articolata e mutevole nel tempo. Così Donzelli, I provvedimenti nell'interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., cit., 49.

[29]  Ma anche nei confronti di altre persone come gli ascendenti ai sensi dell’art. 317 bis c.c.

[30] Circa la natura di norma sanzionatoria e/o risarcitoria dell'art.709 ter c.pc., problematica che esula i limiti di questa indagine si rinvia per tutti a A. Graziosi, Diritto processuale di famiglia, Torino, 2016, 237 ss. e, da ultimo, all'approfondimento di Donzelli, op. ult. cit., 78 ss.

[31] Per necessari limiti di indagine, si omette qui ogni trattazione in ordine al delicato problema dell'attuazione dell'obbligo di “consegna” di minori ed alle misure coercitive di cui all'art. 614 bis c.p.c., relativamente a cui, per una sintesi ed ogni riferimento di carattere dottrinale e giurisprudenziale, ci si permette di rinviare al nostro L'esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l'epserienza italiana e francese a confronto, in Fam. dir., 2016, 83 ss.

[32] Sui rapporti (di specialità) tra l'art.709 ter c.p.c. ed il risarcimento del danno da illecito endofamiliare anche sotto il profilo processuale v. l'articolata analisi di Donzelli, op. ult. cit., 120 ss. Circa i presupposti e la natura del risarcimento, l'art.709 ter c.p.c. suggerisce anzitutto di dare rilievo al requisito di gravità La Suprema Corte ha infatti sostenuto la risarcibilità dei danni endofamiliari in presenza di condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona (v. Cass. 10 maggio 2005, n°9801 in appartenente alle violazioni dedotte in giudizio, nonché alla sussistenza di un pregiudizio (in capo al minore e/o al genitore) Come rileva Donzelli, I provvedimenti nell'interesse dei figli minori ex art.709 ter c., cit., 115 ss., deve escludersi che il danno in questione possa ritenersi sussistente in re ipsa con la conseguente necessità di dar prova delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla lesione degli interessi tutelati.

[33] Sul versante del diritto sostanziale, la svolta è stata certamente segnata dall'entrata in vigore della l. 8 febbraio 2006, n°54 che ha reso l'affidamento dei figli ad entrambi i genitori la regola e l'affidamento esclusivo l'eccezione. Con un radicale mutamento di prospettiva rispetto al passato, l’interesse prioritario dei figli è stato individuato dall’ordinamento nel diritto dei figli di mantenere, nonostante la crisi del rapporto genitoriale, una relazione equilibrata e continuativa con ciascuno dei genitori, dovendosi loro garantire quella continuità di affetti che la fine del legame tra i genitori è potenzialmente idonea a minare. V. M. Sesta, La nuova disciplina dell'affidamento dei figli nei processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento riguardante i figli nati fuori del matrimonio, in L'affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta – A. Arceri, in Nuova giur. dir. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi, Torino, 2012, 11. Si tratta del cd. diritto alla bigenitorialità, configurato come diritto soggettivo del minore, rientrante da quelli della personalità a lui spettanti, che si realizza garantendo la frequentazione e l'apporto educativo di entrambi i genitori, posti sullo stesso piano nella gestione dei rapporti di vita con i figli. Ad ogni modo, anche prima della entrata in vigore di detta legge, vi sono state pronunce aventi ad oggetto la condanna del genitore che aveva tenuto una condotta ostruzionistica, al risarcimento dei danni biologici cagionati in capo all'altro genitore. V. ad es. Trib. Roma, 3 maggio 2000, in Temi Rom., 2000, 1157 su cui P.Porreca, La lesione endo-familiare del rapporto parentale come fonte di danno, in Giur. it., 2005, parte II, 1635. V. anche Trib. Roma, 13 giugno 2000, in Dir. fam e pers., 2001, 209 con commento di Dogliotti, La responsabilità civile entra nelv diritto di famiglia, in Dir. fam. e pers., 2002, 61 ss.

 Il presupposto é che accanto all'interesse del minore, criterio guida nell'assunzione delle decisioni del giudice, vi è anche una situazione soggettiva del genitore non affidatario (nel periodo ante riforma) che può essere sacrificata solo qualora entri in collisione con le ragioni della prole. Con la conseguenza che non poteva apparire legittimo comprimere l'esplicazione della personalità del genitore nel rapporto con il figlio. V. G. De Marzo, Responsabilità civile e rapporti familiari, in G. De Marzo, C. Cortesi, A. Liuzzi, La tutela del coniuge e della prole nella crisi della famiglia, Milano, 2007, 707.

[34]  Così Donzelli, I provvedimenti nell'interesse dei figli minori ex art.709 ter c.p.c., Torino, 2018, 116.

[35] Sull'inopportunità di tale esclusione v. supra nota .

[36] V. ad es. A. Proto Pisani, Intervento di “pronto soccorso” per un processo (...un po' più...civile), in Foro it., 2017, V, 208 (estratto). Si tratta di interventi ispirati a quelle voci dottrinali che, partendo dall'art. 696 bis c.p.c., e soprattuto in un'ottica comparatistica, hanno iniziato valorizzare fenomeni di formazione anticipata della prova. Su di esse, per un quadro comparatistico ed evolutivo, ci si permette di rinviare al nostro Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, Napoli, 2011, 201 ss.

[37] Rimarchevole, in tale direzione, é lo sforzo di alcuni Tribunali volto alla individuazione di best practices nella direzione di rendere efficiente il processo di c.t.u., sforzo sfociato nella predisposizione di Protocolli di Intesa con varie associazioni professionali ed aventi ad oggetto le regole per iscriversi e permanere nell'albo dei CTU. V. ad es. quello sottoscritto in data 14 dicembre 2017 dal Tribunale di Firenze, disponibile su www.tribunale.firenze.giustizia.it/it/News/Detail/38246

[38] Sul tema, che impone indispensabili riferimenti al modello statunitense e che rapppresenta il nodo centrale dei problemi inerenti l'utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo v. per tutti A. Dondi, Utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo civile – Alcune ipotesi di carattere generale, in Studi di diritto processuale – In onore di Giuseppe Tarzia, Milano, 2005, I, 843 ss.

[39] V. supra nota 23.

 

 
 
 
 
 
 

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