I. Con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, attuativo della Legge delega 28 aprile 2014, n. 67, sono state abrogate alcune previsioni di reato punibili a querela, assoggettando le fattispecie (art. 4 d.leg. cit.), senza incisive variazioni di struttura ([1]{C}), ove dolose, ad una sanzione cosiddetta civile (art. 3 d.leg.) che affianca gli obblighi di restituzione e di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale.
La sanzione è detta appunto così solo perché è irrogata dal giudice civile –specificamente dal tribunale o dal giudice di pace chiamati a conoscere della domanda di risarcimento proposta dalla “persona offesa” ({C}[2]{C}) ({C}[3])- con applicazione delle regole del codice di procedura civile, in quanto compatibili con le norme del capo III del decreto legislativo (art. 8).
Per natura e finalità, la misura è invece estranea alla categoria delle sanzioni civili, tanto come pene private ({C}[4]{C}) tanto come danni punitivi ({C}[5]{C}), ed è qualificabile come istituto di contrasto avverso condotte che, incidendo, a seconda dei casi, sulla fede documentale, l’onore, il patrimonio mediante violenza alle cose, mantengono, pur dopo la depenalizzazione, un disvalore collettivo.
La irriducibilità alla categoria della sanzione civile e la natura pubblicistica della misura in esame emergono essenzialmente da ciò che essa è devoluta non alla parte privata, come è proprio di ogni sanzione civile, ma alla Cassa delle Ammende (art.10, d.lgs.); la natura pubblicistica si evidenzia inoltre nel fatto che la misura è applicata d’ufficio, come corollario dell’accoglimento della domanda di risarcimento, e non su istanza di parte.
La funzione, immutata rispetto alla preesistente sanzione criminale, è repressivo-preventiva; del ché è indice e, al tempo stesso, portato, il fatto che la sanzione deve essere commisurata non al danno sofferto dalla persona offesa ma “alla gravità della violazione, alla reiterazione dell’illecito, all’arricchimento del soggetto responsabile, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”(art. 5, d.lgs.).
II. Il decreto ha dunque trasposto alcuni illeciti dal piano penalistico a quello civilistico innestandone la sanzione nel processo civile.
Due gli scopi perseguiti:
alleggerire il carico della giustizia penale e, segnatamente, il lavoro delle Procure della Repubblica;
contrastare determinate condotte con maggiore effettività rispetto al passato.
Il primo scopo è stato immediatamente raggiunto: la sanzione che in precedenza presupponeva l’attività dell’organo inquirente ora implica l’attività della parte offesa.
Importa evidenziare che il peso della repressione e della prevenzione di alcune condotte antisociali è stato così caricato sulla persona offesa senza che per quest’ultima ne sia stato fatto derivare alcun vantaggio.
Quanto meno dubbio è se il meccanismo delineato dal legislatore sia idoneo rispetto all’altro scopo e se, in radice, sia capace di ben funzionare.
Ad un concreto recupero di effettività e all’effettivo funzionamento ostano ragioni di due ordini.
Per un verso, in un processo condizionato dall’impulso di parte, l’applicazione della c.d. sanzione civile è affidata integralmente all’attore; questi, tuttavia, nella logica del processo di danno, mira soltanto alla tutela del proprio diritto al risarcimento e non ha alcun interesse per una sanzione destinata allo Stato.
Per altro verso, la prospettiva sanzionatoria, essendo la sanzione cosiddetta civile, in realtà, alla stregua della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, afferente alla materia penale, impone di forzare le regole ordinarie del processo in modo da assicurare al convenuto garanzie difensive imprescindibili ({C}[6]{C}).
Per l’una o per l’altra delle suddette ragioni, si profilano queste criticità:
-i costi, economici e personali, e le incertezze del giudizio possono risultare tali, ad una valutazione comparativa rispetto al risarcimento conseguibile, specie allorché si tratti di danni non patrimoniali ({C}[7]{C}), da indurre la persona offesa ad astenersi dall’iniziativa processuale. Nel calcolo non entra l’importo della sanzione, in quanto la persona offesa non ne è beneficiaria. Anche in passato, data la perseguibilità a querela dei reati ora depenalizzati, la punizione era condizionata alla scelta del privato; questa scelta tuttavia prescindeva completamente dall’attuale comparazione. Inoltre, nei casi di illeciti commessi da autore sconosciuto, una querela contro ignoti poteva portare all’individuazione del responsabile mentre oggi l’avvio del processo civile è, in quei casi, impossibile salvo che la persona offesa “disponga degli ingenti mezzi economici necessari a un’investigazione privata”({C}[8]{C});
-il responsabile dell’illecito non può non essere informato del fatto che, come conseguenza dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, potrà essere assoggettato alla sanzione civile. La garanzia è imposta dal diritto convenzionale ed anche da quello interno ({C}[9]{C}). Il decreto offre una prima risposta a questa esigenza laddove stabilisce che quando l'atto introduttivo del giudizio è stato notificato nelle forme di cui all'articolo 143 del codice di procedura civile, la sanzione non può essere imposta salvo che il convenuto si sia costituito in giudizio o risulti con certezza che abbia avuto comunque conoscenza del processo (art. 8, comma 3°, d.lgs.). Al di là di questo, va considerato che l’informazione non è contenuta nell’atto introduttivo: l’attore, infatti, nel dare avvio all’azione di risarcimento nella quale poi si inserisce, per previsione legislativa, la potestà sanzionatoria statale, non è tenuto a far riferimento, né ha interesse a far riferimento alla sanzione ({C}[10]{C}). Occorre allora ipotizzare che vi sia un dovere del giudice di rendere edotto il convenuto della prospettiva sanzionatoria connessa all’accoglimento della domanda di risarcimento. Tale dovere andrebbe esercitato all’udienza di prima comparizione e tuttavia, per una qualsiasi ragione, potrebbe di fatto essere esercitato in un momento successivo e addirittura al termine del giudizio. In questi casi, per consentire al convenuto un’adeguata difesa sia in punto di allegazione che di prova e per consentire all’attore il contraddittorio, occorre far regredire il processo per quanto necessario, con pregiudizio inevitabile per la tempestività e quindi per l’effettività della sanzione e per l’interesse dell’attore a conseguire il risarcimento il più possibile rapidamente. Ulteriori problemi e ritardi si verificano nel caso di convenuto contumace, in cui è altresì da ipotizzarsi una comunicazione dell’avviso giudiziale da parte della Cancelleria ({C}[11]{C});
-valgono interamente i principi di allegazione e di prova propri dell’ ordinario processo dispositivo ed inoltre il diritto dell’accusato al silenzio osta all’impiego di prove presuntive tratte dalla mancata contestazione (art. 115 c.p.c.) o dalla mancata comparizione a rendere l’interrogatorio (art. 232 c.p.c.) ({C}[12]{C}); il giudice, benché sia chiamato ad applicare una sanzione pubblicistica, resta, come di regola, privo di poteri inquisitori ({C}[13]{C}) e il pubblico ministero non ha alcun ruolo; le fattispecie dell’illecito extracontrattuale o contrattuale e la fattispecie tipica degli illeciti depenalizzati di cui all’art. 4 d.lgs. 7 del 2016, non sempre coincidono ({C}[14]{C}); spesso poi gli elementi sufficienti per il risarcimento non sono sufficienti per la adeguata quantificazione della misura ai sensi dell’art. 5 del d.lgs.; da tutto questo deriva la concreta possibilità che al giudice siano offerti soltanto gli elementi per la condanna al risarcimento e non invece gli elementi richiesti per applicare la sanzione o per liquidarne l’ammontare in modo equo; il meccanismo repressivo pubblico finisce per funzionare solo ove l’attore abbia assolto al proprio onere e i dati determinanti per l’accoglimento della domanda risarcitoria siano anche di per sé sufficienti a consentire l’esercizio del potere sanzionatorio oppure ove l’attore, andando al di là di quanto gli incombe, abbia allegato e provato anche i presupposti della comminatoria e i fattori per la relativa quantificazione (posto che allora il giudice, per il principio di acquisizione, potrà e dovrà tenere conto di tali elementi nell’esercizio ufficioso del potere sanzionatorio) ({C}[15]{C}) ({C}[16]{C}).
-manca un rimedio per il caso in cui il Giudice ometta di pronunciare sulla sanzione pur essendovene i presupposti ([17]{C}) o affermi erroneamente l'inesistenza di un elemento costitutivo della pretesa punitiva ovvero la sussistenza di una "scriminante" o, ancora, irroghi una sanzione incongruamente bassa. La parte offesa non è legittimata né comunque avrebbe interesse ad impugnare riguardo alla sanzione che non è oggetto di un suo diritto ed è destinata alla Cassa della Ammende. Peraltro, laddove la parte offesa impugni il capo relativo al risarcimento, non è ipotizzabile l’applicazione del meccanismo sanzionatorio in via ufficiosa ad opera del Giudice dell’impugnazione perché ciò significherebbe privare il responsabile di almeno un grado di giudizio ({C}[18]{C}).
-è dubbio come possa svolgersi il processo di impugnazione promosso dal responsabile dell’illecito con riguardo solo e specificamente al capo della sentenza relativo alla sanzione, trattandosi di un processo a cui il danneggiato, estraneo alla pretesa punitiva statale, non può esser costretto a partecipare e che quindi deve poter essere un processo a parte unica ({C}[19]{C}).
III. Le criticità segnalate sarebbero superabili modificando la disciplina del decreto legislativo delegato nel senso di trasformare la sanzione in una maggiorazione del risarcimento spettante al danneggiato.
Precisamente: se la sanzione, quantificata in base ai parametri di cui all’art.5 d.lgs. n.7, tra un minimo e un massimo come previsto dall’attuale art. 4 del medesimo decreto e in percentuale dell’importo liquidato a fini compensativi (in modo da rispettare il principio di legalità della “pena”, da evitare i rischi di sovra-deterrenza tante volte denunciati a proposito dei danni punitivi nell’esperienza americana, da rimarcare l’accessorietà della componente repressiva rispetto alla primaria componente riparatoria), fosse inglobata nel risarcimento, si avrebbe, innanzi tutto, un recupero di effettività del meccanismo sanzionatorio per l’incentivo dato alla persona offesa all’attivazione del processo dal maggior ammontare della somma ottenibile; sarebbe allora giustificata e coerente modifica procedurale quella che imponesse alla persona offesa, per il caso di domanda di risarcimento inclusivo della componente repressivo-preventiva, di far specifica menzione della prospettiva sanzionatoria nell’atto introduttivo, con il ché non sarebbe poi più necessaria alcuna iniziativa giudiziale per avvisare il convenuto né vi sarebbero più i problemi legati all’eventualità di dover recuperare particolari spazi difensivi; l’attore, per ottenere l’intera somma, sarebbe indotto a provare, oltre i presupposti applicativi dell’illecito civilistico, anche le componenti aggiuntive dell’illecito depenalizzato e ad allegare e dimostrare gli elementi richiesti per quantificare la componente ultra-compensativa del risarcimento; l’impugnazione del danneggiato offrirebbe un rimedio contro l’omissione della pronuncia giudiziale e contro l’erronea inapplicazione e la inadeguata quantificazione della misura; il processo di impugnazione sarebbe sempre regolarmente un processo con (almeno) due parti.
IV. A questa soluzione che per quanto avvantaggia la persona offesa si giustifica considerando che sulla persona offesa è traslato l’onere del soddisfacimento del generale interesse repressivo e preventivo, niente pare frapporsi.
In primo luogo, riguardo alla dimensione repressivo-deterrente del risarcimento, non essendo questa la sede per affrontare a fondo il tema della funzione della responsabilità civile, può osservarsi che, di certo, come sottolineato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 16 maggio 2016, n. 9978 ({C}[20]{C}), di tale dimensione esistono ormai numerosi indici normativi, che, a livello comunitario, una apertura, sia pure circondata da molte cautele, alla possibilità di una “disposizione di legge che abbia l'effetto di determinare il riconoscimento di danni non risarcitori”, è contenuta nel 32° considerando del Regolamento CE 864 del 2007 ({C}[21]{C}), che, infine, autorevoli e tendenzialmente sempre più numerose, sono le voci dottrinarie a favore della plurifunzionalità della responsabilità civile ({C}[22]{C}).
In secondo luogo, la destinazione della somma alla persona offesa non contrasta né, malgrado l’opposta affermazione contenuta nella relazione illustrativa allegata allo schema di decreto legislativo, è “incoerente” con la «funzione general-preventiva … sottesa alla minaccia della sanzione pecuniaria civile, nonché [con la sua] vocazione pubblicistica», posto, per un verso, che il soddisfacimento dell’interesse pubblicistico alla prevenzione e alla repressione degli illeciti è legato alla minaccia e alla applicazione di una condanna anche sanzionatoria e non alla destinazione della somma alla Cassa della Ammende o ad altro soggetto o organo pubblico, per altro verso, che l’attribuzione della somma alla persona offesa è coerentemente giustificabile rispetto alla sopradetta funzione considerando che la parte privata è in grado di “verosimilmente, provvedere alla riscossione della somma, in tempi e con oneri inferiori rispetto a quelli” che gravano sul soggetto pubblico ({C}[23]).
Non vi sono, infine, rischi di aumentare il potere della persona offesa di “mercanteggiare” sull’applicazione della sanzione: questo potere esiste già oggi essendo dato alla persona offesa di “offrire” di non iniziare il giudizio o di comporre la controversia a fronte della “disponibilità” del danneggiante a pagare un importo ultra-compensativo e nulla cambia per la trasformazione della sanzione destinata alla Cassa delle Ammende in elemento aggiuntivo del risarcimento destinato al danneggiato.
ANTONIO MONDINI
[1]{C} Le fattispecie di reato abrogate sono: la falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.); l’ abusivo riempimento con un atto privato di un foglio firmato in bianco, posseduto per un titolo che importi l’obbligo o la facoltà di riempirlo (art. 486 c.p.); l’ ingiuria (art. 594 c.p.); la sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.); l’appropriazione di cose smarrite (art. 647, n. 1, c.p.); l’appropriazione del tesoro (art. 647, n. 2, c.p.); l’appropriazione di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647, n. 3, c.p.); ed ancora, le falsità, diverse da quelle di cui alle disposizioni già citate, commesse in un foglio firmato in bianco (art. 488 c.p.); l’uso di una scrittura privata falsa (art. 489 c.p.) e la soppressione, distruzione od occultamento di scrittura privata vera (art. 490 c.p.); il danneggiamento semplice. Le non incisive variazioni apportate riguardano l’ingiuria, ora realizzabile anche con documenti informatici o comunicazioni telematiche, e per la quale è divenuta illimitatamente possibile la prova liberatoria della verità del fatto determinato; riguardano poi il danneggiamento, ora integrabile con condotte in precedenza costituenti circostanze aggravanti (Padovani, Procedibilità e applicazioni, le differenze più nette, in Guida dir., 2016, 8, p. 79).
{C}[2]{C} La legge mantiene la nozione penalistica di persona offesa. Per l’opinione maggioritaria (Gargani, La depenalizzazione bipolare: la trasformazione di rati in illeciti sottoposti a sanzione pecuniaria amministrativa e civile, in Dir. pen e proc., 2016, p. 583; Gullo, La depenalizzazione in astratto tra vecchi e nuovi paradigmi. Un’analisi dei decreti legislativi 7 e 8 del 15.1.2016, in www.lalegislazione penale.eu, p. 48; Lavarini, I profili processuali dei recenti provvedimenti di depenalizzazione, in Arch. pen., 2016, p. 6, nota 23) ne deriva che la sanzione non è applicabile se l’azione di risarcimento è proposta dal danneggiato che non sia anche la persona offesa. In senso contrario è stato tuttavia posto in rilievo che alla lettera del secondo comma dell’art. 8 del decreto in esame non parrebbe doversi dare “tanta importanza … perché … qui ciò che conta è che sia esercitata un'azione risarcitoria derivante dall'illecito, insomma che un interesse privato coinvolto sia fatto valere: questo dovrebbe sempre far scattare anche il … dipendente profilo sanzionatorio” (Bove, Un nuovo caso di pronuncia d’ufficio: profili processualcivilistici del d.lgs. n. 7/2016, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 418, nota 8).
{C}[3]{C} Vi è un nesso inscindibile tra processo di danno e irrogazione della sanzione dato il chiaro tenore letterale dell’art. 8 del decreto e dato, ancora prima, che la sanzione non può formare oggetto di un processo a sé non essendovi chi possa dare avvio ad un tale apposito processo: non il PM, ovviamente non il Giudice, e neppure, per difetto di legittimazione, la persona offesa.
{C}[4]{C} Per la definizione della pena privata, v., tra tutti, Ponzanelli, Pena privata, in Enc. Giurid. Treccani, XXII, Roma, 1990, p. 5: “la pena privata, nella sua forma pura, dovrebbe costituire una sanzione giuridica lasciata unicamente alla previsione dei privati, la cui operatività … dovrebbe essere rimessa all’iniziativa degli stessi e i cui beneficiari dovrebbero essere sempre i privati”; F. Bricola, La riscoperta delle pene private nell’ottica del penalista, in AA.VV., Le pene private, a cura di Busnelli- G. Scalfi, Milano 1985, p. 28, secondo cui la pena privata si qualifica per essere “a tutela di interessi privati e destinata, salve talune eccezioni, a tradursi a beneficio del privato e non dell’Erario”, per “essere applicata, inoltre, tramite il filtro giudiziale e su iniziativa della parte danneggiata o esposta a pericolo” e per “essere … contrassegnata dal fine preventivo e afflittivo, in forma esclusiva o prevalente, e non da una finalità meramente riparatoria”. Peraltro, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, vengono poi talvolta qualificate come pene private figure non esattamente corrispondenti a queste definizioni “idealtipiche” e assai diversificate tra loro, tra cui, ad esempio, l’art.709 ter c.p.c.; l’art. 12 l. n. 47 del 1948; l’art. 4 l. n. 281 del 2006; l’art. 96, comma 3°, c.p.c.
[5]{C} Sulla figura di derivazione anglo-americana, dei c.d. punitive damages, tra gli innumerevoli contributi, limitando i riferimenti all’ ultimo decennio, v., in particolare, Spillari, I danni punitivi: mito o realtà?, in Stud. jur. 2014, p. 1407 ss.; Bona, Tortious interference with business relationships, rimedio effettivo, «nuova» (ulteriormente affinata) causalità civile e danni punitivi, in Corr. giur., 2014, p. 505; Benatti, La circolazione dei danni punitivi: due modelli a confronto, in Corr. giur., 2012, p. 263; Tescaro, I punitive damages nordamericani: un modello per il diritto italiano?, in Contratto e impr.-Europa, 2012, p. 599 ss.; P. Pardolesi, I punitive damages nell’ordinamento italiano, in P. Pardolesi (a cura di), Seminari di diritto privato comparato, Bari, 2011, p. 59; Riccio, I danni punitivi non sono, dunque, in contrasto con l’ordine pubblico interno, in Contratto e impr., 2009, p. 854; Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Europa e dir. privato, 2009, p. 909 ss.; Ponzanelli, Danni punitivi: no grazie, in Foro it., 2007, I, c. 1461; P. Pardolesi, Danni punitivi: frustrazione da «vorrei, ma non posso»?, in Riv. critica dir. privato, 2007, p. 341 ss.; P. Pardolesi, v. Danni punitivi, in Dig. civ., agg., III, Torino, 2007, p. 453. Sulla figura è, di recente, intervenuta la Corte di Cassazione con ordinanza 16.5.2016, n. 9978, in Foro it., 2016, I, c.1973, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione della recepibilità interna delle sentenze straniere di condanna al pagamento di danni punitivi. La questione, risolta in senso negativo da Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183 in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 983, Cassazione, 8 febbraio 2012, n. 1781 in Corr. giur., 2012, p. 1068, e Cass., 22 luglio 2015, n. 15350, in Foro it., 2015, I, c. 2682, è ora considerata suscettiva di riconsiderazione alla luce sia di aperture giurisprudenziali contenute nelle pronunce della stessa Corte n.77613 del 15 aprile 2015, in Danno e resp., 2015, p. 1155, e n. 1126 del 22 gennaio 2015, in Danno e resp., 2015, p. 511, sia “dei numerosi indici normativi che segnalano la già avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzionatoria”, tra cui, nell’ordinanza di rimessione, sono segnalati, “a titolo solo esemplificativo, i seguenti: -la l. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 12, …; - l'articolo 96, comma 3°, c.p.c., …; - l'articolo 709 ter c.p.c. …; - la L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 158 e, soprattutto, Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 125 …; - il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187 undecies, comma 2, …; - il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (articoli 3 - 5)…”. Va notato che la qualificazione delle figure incluse nell’elenco non è indiscussa giacché per ciascuna vi sono interpretazioni secondo cui si tratterebbe di pene private o di fattispecie risarcitorie o miste, e che l’elenco erroneamente include il rimedio previsto dal d.lgs. 7 del 2016, essendo questo, per la ragione di cui nel testo, senz’altro un’ipotesi non di danno punitivo.
[6]{C} Ritengono che gli illeciti ai quali si applica la sanzione civile appartengano alla “materia penale” come definita dalla Corte di Strasburgo, Lavarini, op.cit., p. 4; Palazzo, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture: A proposito della legge n. 67/2014, in Rivista it. dir. e proc. penale, p. 1720; Gargani, Tra sanzioni amministrative e nuovi paradigmi punitivi: la legge delega di ‘riforma della disciplina sanzionatoria’ (art.2 l.28.4.2014 n.67), in www.lalegislazionepenale.eu; Gullo, op. cit., p. 43. Al contrario, la Relazione illustrativa dello “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili” (n. 246) sottoposto al parere della Camere, in www.penalecontemporaneo.it, afferma che l'entità massima delle sanzioni è tale da escludere che queste “debbano essere qualificate come sanzioni sostanzialmente penali ai fini delle necessarie verifiche di conformità, del procedimento con le quali sono irrogate, alle previsioni convenzionali sull’equo processo”. Tuttavia, da un lato, la stessa Relazione sembra riconoscere la funzione afflittiva della sanzione e quindi l’attrazione di essa alla sfera di ciò che è, “convezionalmente”, materia penale, laddove afferma che “in ogni caso, le garanzie offerte dal rito civile pongono al riparo dal timore che il nuovo sistema possa essere esposto a censure di incompatibilità con le statuizioni convenzionali” e, dall’altro, “per la più recente giurisprudenza convenzionale, anche sanzioni di limitata entità vanno qualificate “penali” ove assolvano alle funzioni tipiche della pena, anziché a mere funzioni compensativo-riparatorie” (così, Lavarini, op.cit., p. 3, e nota 15, nella quale viene citata, a titolo di esempio, Corte eur. dir. uomo, 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia, in www.echr.coe.int).
{C}[7]{C} Alcuni dei fatti ora assoggettati alle sanzioni civili sono fonte di danno non patrimoniale. Così, a titolo d’esempio, il fatto ora depenalizzato di ingiuria, fonte di danno da lesione del decoro della persona. In assenza di specifiche disposizioni di legge che per tali fatti prevedano la risarcibilità di questo tipo di danno, il risarcimento è conseguibile soltanto se derivante da lesione grave di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e selezionati caso per caso dal giudice (Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, in Guida dir., 2008, fasc. 47, p. 18). In precedenza, allorché gli illeciti erano astrattamente configurabili come reato, il danno era sempre risarcibile; la depenalizzazione ha reso quindi più complesso, per la persona offesa, ottenere ristoro.
{C}[8]{C} Sul punto, v. F. Palazzo, op. cit., p. 1721 e Lavarini, op. cit., p. 5, la quale pone la questione anche nella prospettiva del pregiudizio al diritto di azione della persona offesa portando ad esempio i frequenti casi di danneggiamenti di autore sconosciuto, per i quali l’indagine penale, avviata dalla querela contro ignoti, poteva condurre all’identificazione del responsabile e quindi permettere al danneggiato di agire per il risarcimento in sede penale o civile. Nello stessa prospettiva anche Padovani, op. cit., p. 77.
[9]{C} V. Spina, Depenalizzazione e abrogazione di reati 2016. I nuovi illeciti con sanzioni pecuniarie civili: tutele sostanziali e strategie processuali, in www.lanuovaproceduracivile, § 4.4., il quale muove dalla considerazione che se il giudice applicasse la sanzione senza aver prima consentito al convenuto di interloquire, si “rischierebbe di ledere il diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.)”; Bove, op. cit., p. 415, il quale fa leva sul principio del contraddittorio sancito dall’art. 111 Cost. Per vero, a questo richiamo potrebbe essere opposto che la sanzione è imposta dalla legge quale conseguenza automatica della condanna risarcitoria, talché non sembra esservi un problema di rispetto dell’art. 111 Costituzione. In questo senso v. Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, 25a ed., Torino, 2016, p. 101, nota 17, dove si dice che la comminatoria della sanzione civile pecuniaria, in quanto accessoria rispetto a una pronuncia di condanna principale, non può annoverarsi tra le autentiche pronunce d’ufficio.
{C}[10]{C} La presenza nell’atto introduttivo di un riferimento alla sanzione o di un’espressa domanda di applicazione della sanzione è certamente possibile ma del tutto eventuale. L’ipotetica domanda non è poi tale in senso tecnico perché non esiste un diritto dell’offeso alla sanzione; si tratta di una mera sollecitazione al giudice per l’esercizio di un potere-dovere ufficioso.
{C}[11]{C} Quanto alla comunicazione dell’avviso, pare non condivisibile l’affermazione secondo cui il giudice dovrebbe disporre “in applicazione estensiva (rectius analogica) dell’art. 292 c.p.c.” (così, invece, Lavarini, op. cit., p. 8), atteso che ciò si tradurrebbe nell’addossare all’attore un onere che essendo strumentale all’interesse repressivo pubblico deve invece rimanere a carico dello Stato (ed essere perciò adempiuto appunto dalla Cancelleria); del resto si tratterebbe di un onere privo di sanzione.
[12]{C} Lavarini, op. cit., p. 10.
{C}[13]{C} A. Palmieri, L’altra faccia della decriminalizzazione: prime impressioni sugli illeciti aquiliani sottoposti a sanzioni pecuniarie civili, in Foro it., 2016, V, c. 125; Martini, L'avvento delle sanzioni pecuniarie civili. Il diritto penale tra evoluzione e mutazione, in www.lalegislazionepenale.eu, p. 13; Spina, op. cit. § 4.3 e nota 55. L’unico potere “inquisitorio” che può ritenersi essere stato implicitamente attribuito al giudice è quello di consultare il registro automatizzato di cui all’art. 11 d.lgs., al fine della determinazione dell’entità della sanzione. In senso diverso, Bove, op. cit., p. 417, il quale ritiene “evidente” che il giudice abbia poteri inquisitori per la ricerca dei fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria e dei fatti rilevanti per la quantificazione della sanzione, gravando sullo Stato il relativo onere probatorio, fermo restando invece che gli elementi negativi della fattispecie sanzionatoria devono essere allegati e provati dal convenuto. Quali sono questi straordinari poteri investigativi d’ufficio resta imprecisato; la base normativa del loro riconoscimento è incerta; l’Autore stesso (ivi, nota 21) afferma poi che “il giudice civile avrà in concreto ben scarsa possibilità di spingersi così oltre, di farsi, se così si può dire, investigatore”. Pare propendere per l’attribuzione al giudicante di poteri istruttori anche Gullo, op. cit., p. 59, sul presupposto che “se di “pena” in larga parte con connotati pubblicistici si tratta”, il giudice deve avere un ruolo centrale nella ricerca della prova.
{C}[14]{C} Basta infatti pensare che per l’una è sufficiente la colpa, per l’altra occorre il dolo e che, almeno stando ad una certa tesi (Bove, op. cit., p. 418), per l’una è sufficiente, in punto di nesso causale tra condotta ed evento, la probabilità semplice, per l’altra, vale il criterio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” (in senso contrario, v., tuttavia, Spina, op. cit., § 4.3, sul motivo che il criterio più tenue “non pare ledere diritti costituzionalmente garantiti”; nella Relazione di accompagnamento al d.lgs., si afferma che l’uniformità dello standard probatorio a quello impiegato a fini civilistici si impone per esigenze di coerenza e di funzionalità pratico-applicativa).
[15]{C} In linea di fatto l’attore potrebbe introdurre nel giudizio elementi utili all’irrogazione della sanzione allo scopo di far sì che il convenuto sia sanzionato oppure allo scopo di porsi in una posizione di forza in vista di una trattativa extragiudiziale col danneggiante.
{C}[16]{C} Va poi, sotto un profilo affatto diverso, notato che le regole sull’onere assertivo e probatorio, possono determinare un risvolto opposto: non un deficit di effettività del meccanismo repressivo ma un ingiustificato eccesso nell’applicazione del mezzo repressivo; ciò laddove il convenuto non alleghi e non provi gli elementi negativi dell’illecito tipizzato dal d.lgs. 7 del 2016 o gli elementi impeditivi dell’applicazione della sanzione o gli elementi che ne attenuino l’entità, e il Giudice, sprovvisto anche su questo versante di poteri accertativi autonomi, conseguentemente applichi una sanzione di fatto ingiustificata o eccessiva Ad esempio, nel caso dell’ingiuria, potrebbero non emergere le scriminanti dello stato d’ira determinato da fatto ingiusto dell’offeso (art. 4, comma 2°) o la reciprocità delle offese che può portare alla non applicazione della sanzione (anche ad uno solo dei responsabili); ancora, potrebbero non emergere fattori attenuanti quali l’attività svolta dal responsabile per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze dell'illecito (art. 5, lett. d).
[17] Il giudice è tenuto all’irrogazione della sanzione. Su ciò non possono esservi dubbi attesa la natura e la funzione della sanzione stessa. Il disposto dell’art. 8, comma 2°, secondo cui “il giudice decide sull’applicazione di tale sanzione al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa”, non vale ad attribuire al giudice uno spazio di discrezionalità ma si correla alla sussistenza di uno scarto tra fattispecie risarcitoria e illecito sanzionabile, talché il giudice è chiamato a verificare se, dopo la prima, sussistano i presupposti del secondo.
{C}[18]{C} Niente pare d’ostacolo invece a che il giudice di appello, fermo restando l’obbligo di risarcimento, ridetermini la sanzione in diminuzione o la escluda del tutto non essendovi qui alcuna esigenza difensiva da preservare. Diversamente, Bove, op. cit., p. 421, secondo cui “aperto il giudizio d’appello ad opera della parte privata”, il giudice dovrebbe poter esercitare la pretesa punitiva statale “d’ufficio anche per la prima volta … non trovando egli un limite nel divieto di domande nuove di cui al primo comma dell’art. 345 c.p.c.” e “dovrebbe poter tornare sulla decisione assunta dal giudice di primo grado … per irrogare la sanzione ove questa non sia stata prima irrogata …[o] per quantificarla nuovamente ove egli ritenga che la commisurazione effettuata in primo grado non sia corretta.” In senso ancora diverso, Spina, op. cit., § 4.6., secondo cui, in linea di massima, nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, il giudice di secondo grado non potrebbe pronunciarsi per il vincolo del giudicato implicito (posto che “se il primo giudice non si è pronunciato, vuol dire che ha valutato non sussistenti i presupposti richiesti per l’irrogazione della sanzione”) salvo però che emergesse “con assoluta chiarezza la presenza degli elementi richiesti dal legislatore delegato per l’irrogazione della sanzione pecuniaria”; parimenti il giudice dell’impugnazione potrebbe applicare la sanzione allorché ne ravvisasse i presupposti dopo aver riformato la decisione impugnata, reiettiva della domanda risarcitoria.
[19]{C} Ipotizzano senz’altro un processo di impugnazione a parte unica, Gullo, op. cit., p.48; Martini, op. cit., p. 14, secondo cui “è opinabile che, una volta soddisfatte le proprie pretese risarcitorie, l’attore abbia il diritto di partecipare al giudizio di gravame”. In senso diverso, Bove, op.cit., p. 421, il quale vede nel danneggiato “una sorta di contro-interessato, ancorché molto sui generis”. In realtà il danneggiato non è contro-interessato affatto alle sorti della sanzione. In senso ancora diverso, Spina, op. cit., § 4.6, il quale sostiene la tesi per cui l’appello deve necessariamente essere “rivolto nei confronti della pronuncia di condanna al risarcimento del danno” proprio perché “a rigore, non vi sarebbe una controparte da coinvolgere nel giudizio di appello se si ritenesse appellabile la sola condanna alla pena pecuniaria”. La tesi suscita forti perplessità giacché si risolve nell’imporre un’impugnazione estesa anche a ciò per cui il condannato non ha motivi di doglianza e che è destinata ad essere in parte qua dichiarata inammissibile ex art. 348 c.p.c., allo scopo di costituire una dualità soggettiva riguardo ad altro oggetto dell’impugnazione stessa.
[20]{C} Citata alla nota 5.
{C}[21]{C} V. Busnelli; La funzione deterrente e le nuove sfide della responsabilità civile, in La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, (a cura di) Sirena, Milano, 2011, p. 37 ss. e p. 57.
{C}[22]{C} Perlingeri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass, dir. civ., 2011, p.119; Bricola, op. cit., p.28, secondo cui esiste, “nell’ambito del settore di tutela definito da regole finalizzate latu sensu alla riparazione dei danni”, spazi “per l’uso di tecniche sanzionatorie in senso proprio, aventi funzione di prevenzione … e di repressione-punizione”; Pardolesi, La Cassazione, i danni punitivi e la natura polifunzionale della responsabilità civile: il triangolo no!, in Corr. giur., 2010, P. 1072; Ponzanelli, nota a Cass. n. 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, c. 1460, per il quale la responsabilità civile è destinata «a non essere più mera riparazione, ma a svolgere anche una funzione di generale prevenzione nei confronti dei fatti illeciti». Per ulteriori riferimenti, Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da Sacco, Torino, 1999; C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato diretto da Iudica-Zatti, Milano, 2005; Franzoni, L’illecito civile, in Trattato della responsabilità civile, Milano, 2004.
{C}[23]{C} Il virgolettato riprende un passaggio argomentativo impiegato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 23 giugno 2016, n. 152, in Foro it., 2016, I, c. 2639, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, comma 3°, c.p.c., nella parte in cui dispone che, quando pronuncia sulle spese, il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte anziché a favore dell’erario, di una somma equitativamente determinata, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost.