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PENALE  

La declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nelle recenti pronunce della Corte di Cassazione

  Penale 
 sabato, 16 gennaio 2016

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uno sguardo alla sentenza n. 47039/2015 della Terza Sezione Penale.

dott. ALESSANDRO D’ANDREA
Magistrato dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione

 
 

uno sguardo alla sentenza n. 47039/2015 della Terza Sezione Penale.

La sentenza Cass. Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039 esprime principi di indubbio interesse e di sicura portata innovatrice riguardanti l’istituto della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, nel solco di una giurisprudenza di legittimità da ultimo particolarmente concentratasi sulla figura introdotta dal D. Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
L’art. 131 bis cod. pen., infatti, è stato oggetto di specifica attenzione da parte della Suprema Corte sotto diversificati aspetti, e ciò a partire dai più impellenti problemi applicativi di diritto intertemporale, rivelatisi particolarmente pressanti in ragione del fatto che: a) il legislatore non ha previsto alcuna norma di carattere transitorio; b) la disposizione dell’art. 131 bis cod. pen. ha natura sostanziale, con possibilità, quindi, di una sua applicazione retroattiva; c) trattasi di norma penale di favore, che, in quanto “lex mitior”, può essere applicata, ex art. 2, comma 4, cod. pen., anche a fatti commessi sotto la previgente disciplina normativa, con il solo limite dell’intangibilità del giudicato.
L’applicazione immediata e retroattiva dell’art. 131 bis cod. pen. – invero non particolarmente problematica con riguardo alle fasi procedurali antecedenti al giudizio di legittimità - si è, in particolare, posta con riferimento ai giudizi pendenti davanti alla Corte di Cassazione al momento di entrata in vigore della novella.
La principale questione di diritto intertemporale sorta ha riguardato l’individuazione dei limiti entro cui la Corte può verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della tenuità del fatto. Inizialmente, infatti, non risultava chiaro se la Cassazione potesse effettuare una diretta verifica della tenuità del fatto, eventualmente evincendo la stessa dalle risultanze processuali e dal contenuto dalla sentenza impugnata, ovvero se, per forza, dovesse essere pronunciato l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, rimettendo l’esame della questione al giudice di merito.
Anche conformandosi a precedenti pronunce emesse in relazione a casi analoghi, la Corte ha risolto la questione non ritenendo necessaria la pronuncia dell’annullamento con rinvio.
In tal senso, infatti, - dopo essere stato chiarito in: a) Cass. Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449, Mazzarotto, che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 28 del 2015, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio, ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata, annullando la sentenza, in caso di valutazione positiva, con rinvio al giudice di merito; ed aver ribadito in b) Cass. Sez. IV, 17 aprile 2015, n. 22381, Mauri, che l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto è applicabile, in assenza di una disciplina transitoria, anche ai giudizi pendenti innanzi alla Suprema Corte, che può verificare l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 131 bis cod. pen. sulla base di quanto emerso nel giudizio di merito – ha per la prima volta affermato in modo chiaro, nella decisione Cass. Sez. III, 22 aprile 2015, n. 21474, Fantoni, che la questione dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere decisa dal giudice di legittimità, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., non limitandosi ad un indiscriminato annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito, ma rigettando direttamente la richiesta ove non ricorrano le condizioni per l’applicabilità dell’istituto.
Tale soluzione è stata, poi, consolidata in diverse successive pronunce, tutte di natura conforme, e cioè in: Cass. Sez. III, 14 maggio 2015, n. 24358, Ferretti e altri; Cass. Sez. III, 2 luglio 2015, n. 31932, Terrezza; Cass. Sez. VI, 23 giugno 2015, n. 39337, Di Bello; Cass. Sez. F, 13 agosto 2015, n. 36500, Greco; Cass. Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 44683.
Risolta la fondamentale questione di diritto intertemporale, la giurisprudenza ha valutato, quindi, l’applicazione dell’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto sotto altri particolari aspetti, sia di natura sostanziale che processuale.
In relazione al primo profilo, la S.C. ha considerato l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. con riferimento a talune specifiche figure criminose, ad esempio escludendone la possibilità con riguardo al delitto di ricettazione, quando oggetto dello stesso sia un’arma comune da sparo (Cass. Sez. II, 23 settembre 2015, n. 39890, Farris e altri), ovvero ritenendone l’applicabilità con riguardo al reato di guida in stato di ebbrezza (Cass. Sez. IV, 9 settembre 2015, n. 44132, Longoni).  
Nella sentenza Cass. Sez. III, 26 maggio 2015, n. 27055, P.C. in proc. Sorbara, poi, è stato precisato che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sia perché sono diverse le conseguenze scaturenti dai due istituti, sia perché l’uno estingue il reato, mentre l’altro lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica.
Ancora, la sentenza Cass. Sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 44417, Errfiki ha affermato che l’esclusione della particolare tenuità del fatto è compatibile con l’irrogazione del minimo della pena, atteso che l’art. 131 bis cod. pen. può trovare applicazione solo qualora, in virtù del principio di proporzionalità, la pena in concreto applicabile risulterebbe inferiore al minimo edittale, determinato tenendo conto delle eventuali circostanze attenuanti.
Con riguardo, invece, alle questioni di natura processuale, la sentenza Cass. Sez. F, 20 agosto 2015, n. 38876, Morreale e altro - conformandosi a quanto già affermato in Cass. Sez. IV, 14 luglio 2015, n. 31920, Marzola – ha ritenuto non applicabile la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. nei giudizi davanti al giudice di pace, dovendosi applicare in essi la disciplina indicata dall’art. 34 del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, da considerarsi norma speciale, e quindi prevalente, rispetto a quella dettata dal codice penale.
Sempre in tema di procedimento davanti al giudice di pace, le Sezioni Unite hanno affermato – nella decisione Cass. Sez. Un., 16 luglio 2015, n. 43264, P.G. in proc. Steger – che, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparazione in udienza della persona offesa, ritualmente citata ancorché irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di particolare tenuità del fatto, in quanto l’opposizione, prevista come condizione ostativa dall’art. 34, comma 3, D.Lgs. n. 274 del 2000, deve essere necessariamente espressa e non può essere desunta da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di una formale e certa manifestazione di volontà in tal senso.
Con l’adozione di un’inequivoca pronuncia, poi, è stato chiarito che l’onere probatorio della particolare tenuità del fatto pertiene all’imputato, cui spetta allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici (Cass. Sez. II, 10 aprile 2015, n. 32989, Lupattelli).
Diverse sentenze, quindi, hanno specificamente riguardato il giudizio svolto davanti alla Corte di Cassazione, giungendo ad affermare che: a) l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità, prevista ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., pur trattandosi di “ius superveniens” più favorevole al ricorrente (Cass. Sez. III, 24 giugno 2015, n. 34932, Elia e, in conformità, Cass. Sez. F, 18 agosto 2015, n. 40152, Vece); b) ai fini della rilevabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, costituiscono elementi significativi sia le specifiche valutazioni espresse in sentenza dal giudice di merito circa l’offensività della condotta, che l’applicazione della pena in misura pari al minimo edittale (Cass. Sez. IV, 1 luglio 2015, n. 33821, Pasolini); c) in caso di annullamento con rinvio, limitatamente all’accertamento dell’esistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice del rinvio è tenuto a verificare esclusivamente l’applicabilità in fatto di tale causa di esclusione della punibilità, ma non può rilevare l’eventuale decorso del termine di prescrizione, stante la formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato ed affermazione di responsabilità dell’imputato (Cass. Sez. III, 15 luglio 2015, n. 38380, Ferraiuolo e altro).
Come in precedenza osservato, nel rappresentato sforzo esegetico compiuto dalla Suprema Corte in sede di prima applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. si colloca anche la recente sentenza Cass. Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039, particolarmente interessante in ragione dei principi espressi in materia di individuazione degli esatti limiti di operatività del nuovo istituto.
La Terza Sezione ha affermato, in primo luogo, che anche la sentenza di non doversi procedere prevista dall’art. 469, comma 1 bis, cod. proc. pen. - in ragione della sua formulazione normativa, idonea a creare, tramite la congiunzione “anche”, una correlazione tra essa ed il comma che la precede - presuppone che l’imputato ed il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità.
In termini perfettamente coerenti, quindi, la S.C. ha ritenuto che, ai fini della pronuncia della sentenza di proscioglimento ex art. 469, comma 1 bis, cod. proc. pen., è necessario consentire alla persona offesa di interloquire sulla questione della tenuità del fatto mediante notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con espresso riferimento alla procedura prevista dall’art. 469, comma 1 bis, cod. proc. pen..
Nel prosieguo, quindi, la sentenza ha delimitato l’ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. con riferimento alle figure del reato permanente e del concorso formale di reati, rispetto alle quali è stata ritenuto insussistente il requisito dell’abitualità del comportamento, come noto ostativo alla concessione del beneficio.  
Un’indagine analoga era stata effettuata, fino ad ora, solo con riferimento al reato continuato, invero giungendo ad una soluzione di tipo opposto.  Ed infatti, nelle sentenze Cass. Sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897, Gau e Cass. Sez. III, 1 luglio 2015, n. 43816, Amodeo è stato affermato che non può essere dichiarata l’esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio.
Con riferimento, invece, al reato permanente, la Terza Sezione ha osservato, nella citata decisione n. 47039/2015, che esso è caratterizzato non tanto dalla reiterazione delle condotta, quanto, piuttosto, da una condotta persistente, cui consegue la protrazione nel tempo dei suoi effetti e, pertanto, dell’offesa al bene giuridico protetto. Conseguentemente, il reato permanente non è riconducibile nell’alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131 bis cod. pen., sebbene possa essere oggetto di valutazione con riferimento all’”indice-criterio” della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente ravvisabile quanto più tardi sia cessata la permanenza.  
In maniera perfettamente analoga, quindi, la Terza Sezione ha chiarito che lo sbarramento dell’abitualità del comportamento non opera con riferimento al concorso formale di reati, che, in quanto caratterizzato da una unicità di azione od omissione, si pone in termini strutturalmente antitetici rispetto alla nozione di “condotte plurime, abituali e reiterate”, espressamente utilizzata dalla formulazione normativa dell’art. 131 bis cod. pen..

dott. Alessandro D’ANDREA
Magistrato dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione

 
 
 
 
 
 

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